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Il padre. Zeller e Maccarinelli alla prova del dolore

Piero Maccarinelli porta in scena Il padre, adattamento della pièce del 2012 di Florian Zeller. Lo abbiamo visto al Teatro Cucinelli di Solomeo. Recensione.

il padre haber maccarinelli
foto ufficio stampa

«Allora? Mi vuoi dire quello che è successo?». La prima battuta, pronunciata da Anna (Lucrezia Lante Della Rovere) e rivolta a suo padre Andrea (Alessandro Haber), ci immette in un flusso narrativo già indirizzato.
Piero Maccarinelli porta in scena Le Père di Florian Zeller, giovane drammaturgo francese (vincitore del Premio Molière 2014) alla ribalta sulle scene europee per il carattere brillante della sua scrittura postmoderna, piena di collisioni, sostenuta dalla ricchezza introspettiva.

Sul palco del Teatro Cucinelli di Solomeo, le geometrie scenografiche disegnano un elegante appartamento parigino: è Anna, quasi subito, a collocare l’azione nello spazio geografico ma anche il fondale bianco con stucchi e cornici a rilievo suggerisce un’architettura da interno francese, modernamente ammobiliato.

Tra gli scintillii metallici del carrello degli alcolici e le poltroncine rosse di design, si muovono, per un’ora e trenta, padre e figlia. La pièce è il racconto di una discesa: l’accettazione dell’Alzheimer di lui, dal profilarsi dei primi sintomi al cedimento, per disgregazione, di tutti i riferimenti.

Questa perdita delle coordinate è restituita con una trovata acuta. Mentre sta ancora familiarizzando con nomi e volti, lo spettatore vede entrare e uscire di scena quattro attori diversi: interpretano – ma ci vorrà qualche minuto a comprenderlo – gli sdoppiamenti di Anna, del suo compagno Piero, della badante Laura. Sono gli alter-ego che la malattia di Andrea crea, modificando i corpi, non riconoscendo i volti, confondendo i tempi, cancellando i dettagli. Si muovono velocemente, si alternano, scompaiono per non tornare, indossano altri vestiti e un diverso ruolo, ripetono le stesse azioni, punteggiano la pièce di riprese delle stesse gag, definendo – in un buffo bilico tra empatia e straniamento – la consistenza farraginosa, a volte ologrammatica, del debole tessuto mentale di Andrea: angoli più saldi, verosimiglianza alterata, costernanti precipizi di non-sense.
In questo escamotage – proveniente dalla pagina di Zeller – si esaurisce la bontà dello spettacolo.

foto ufficio stampa
foto ufficio stampa

Il padre è un lavoro che parla, a livello verbale e scenico, il linguaggio della rassicurazione: l’intera messa in scena è sorretta da continui riferimenti provenienti dal catalogo dei luoghi comuni sulla malattia, Anna e Piero – lei premurosa, lui spazientito – sono sagome, mai smagliate, che palesano reazioni standard, l’indagine viene costantemente mantenuta sulla superficie, pretendendola commovente.
Anche i passaggi che, per qualche istante, promettono di sovvertire, oppure espandere, questi meccanismi codificati vengono cambiati di segno e, infine, ricondotti ad essi: un esempio su tutti, la scena dello strangolamento, sviluppata con l’evocazione verbale di immagini interessanti, perde tutta la sua contundenza nel momento in cui viene utilizzata come semplice presidio di legittimazione dell’oscurità di certe fantasie.
Siamo di fronte al problema della rappresentazione della borghesia a teatro. Oppure, forse, al cospetto di una tematica troppo dolorosamente prossima a molti per potersi concedere un’ibridazione più coraggiosa dei codici.

Eppure continuo a credere che la rappresentazione della malattia, anche nei suoi vicoli ciechi, abbia diritto a un trattamento più sensibile, a un linguaggio scenico più delicato, allusivo e conturbante, a uno sguardo che si volga davvero in direzione dello spaesamento senza tentare di riconsegnarcelo  – estetizzato da un buon lavoro attoriale –  dentro una galleria di quadri visivi che, alla lunga, impoveriscono, indispongono e imprigionano.
Chi sceglie di parlare del dolore dovrebbe sforzarsi di farlo senza cedere alle lusinghe della catarsi prêt-à porter.

Ilaria Rossini

Prossime date in tournée:

FEBBRAIO 2017
11 – 12 – CAMPOBASSO – TEATRO SAVOIA
13 – LECCE – TEATRO POLITEAMA
14 -15 FOGGIA – TEATRO GIORDANO
16 – BRINDISI – TEATRO NUOVO VERDI
17 -18 – 19 – BARLETTA – TEATRO CURCI
21 – CONVERSANO – TEATRO NORBA
24 – MONTEGIORGIO – TEATRO COMUNALE D. ALALEONA
25 – 26 – CHIETI – TEATRO MARRUCINO
27 – LANCIANO – TEATRO FEDELE FENAROLI

MARZO 2017
DAL 21 AL 23 – UDINE – TEATRO NUOVO GIOVANNI DA UDINE
24 – VARESE – TEATRO APOLLONIO
25 – SANTA CROCE – TEATRO VERDI
26 – ALTOPASCIO – TEATRO PUCCINI

Il padre
di Florian Zeller
con Alessandro Haber, Lucrezia Lante Della Rovere
e con David Sebasti, Daniela Scarlatti
regia Piero Maccarinelli
scene Gianluca Amodio
costumi Alessandro Lai
disegno luci Umile Vainieri
PRODUZIONE: GOLDENART PRODUCTION S.R.L

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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