Continua la tournée di Elvira, dalle lezioni di Louis Jouvet, diretto e interpretato da Toni Servillo. Lo abbiamo visto al Teatro Bellini di Napoli. Recensione.
Nella stagione 1986-87 del Piccolo Teatro di Milano, in occasione del suo quarantesimo compleanno, Giorgio Strehler presentava Elvira o la passione teatrale, «un’indagine sulla moralità del gesto teatrale, un atto d’amore per uno dei nostri maestri». Quel maestro di cui parlava il grande regista milanese era Louis Jouvet, uno degli allievi di Jacques Copeau al Théâtre du Vieux-Colombier, destinato a diventare a sua volta una delle figure più importanti della recitazione nel Novecento europeo. Il testo, dalle trascrizioni di Brigitte Jaques delle Sette lezioni di Louis Jouvet a Claudia sulla seconda scena di Elvira nel “Don Giovanni” di Molière, era allora impersonato da Strehler stesso nel ruolo del regista e da Giulia Lazzarini in quello di Claudia, presentato nel Teatro Studio al pubblico e alla presenza degli allievi della scuola. Dopo la visione di quel primo esperimento, assistere a una ripresa dello stesso testo trent’anni dopo fa cambiare di segno l’intera operazione.
È Toni Servillo a occuparsene, al fianco di Petra Valentini (sullo sfondo Francesco Marino e Davide Cirri), sul palco del Teatro Bellini di Napoli che ospita solo una pedana e un tavolino di regia. Le luci tenui e l’uso disinvolto delle prime file della platea da parte degli attori suggerisce l’ambientazione in un teatro vuoto, dove il maestro sta preparando l’allieva alla prova del terzo anno di recitazione. Testa alta ma spalle fragili, giovane ma tenace, tremante ma risoluta, Claudia è decisa a dare il meglio di sé, ma si confronta con le indicazioni di un regista profondamente esigente, che non fa che interromperla per aprire squarci vertiginosi nel filo del suo monologo, voragini di senso in cui precipitano tutti, spettatori compresi.
Quella seconda scena di Elvira, che torna da Don Giovanni non più adirata e offesa dalle sue malizie ma investita come da una luce sacra, sembra contenere non solo l’intera commedia, ma l’intera idea di teatro di Molière. Ancora di più. Nella ricerca del passo giusto che trasmetta urgenza ma rispetto, delle braccia sollevate che possano dire di abbracci sottratti e profezie, delle pause necessarie che però non devono interrompere il ritmo dell’accorato avvertimento, e soprattutto, nella relazione complessa che lega maestro e allieva si racchiude tutta la potenza enigmatica del teatro.
Servillo prende su di sé l’incarico di diventare una cassa di risonanza per l’arte dell’attore, scandisce sillaba dopo sillaba i segnali che dalla comprensione delle parole portano al risveglio del sentimento, si infila – come inseguendo egli stesso un filo sottile di sillogismi e deduzioni – in tutte le arterie dove pulsa il paradosso della recitazione, in quell’ascesi piena di carnalità, in quella distanza dal personaggio che è insieme la più viscerale comunione. La giovane attrice prova, riprova, prova ancora a raccogliere gli indizi con perizia e rispetto, si misura con qualcosa che resta irraggiungibile perché lì sembra riposare il vero conforto di quest’arte: in una ricerca che non possiede ragione atta a portare a una scoperta.
Nelle note di regia Strehler parlava di «una specie di suicidio teatrale, perché la gente sappia un poco di verità, sulla fatica, sul dolore, sulla tensione nostra di interpreti, di servitori del teatro, sulla nostra segreta realtà di sempre imperfetti messaggeri della poesia e della verità». Servillo rielabora il discorso alla ricerca di un’urgenza contemporanea e qui sta il successo di un’operazione volutamente scarna, essenziale, ancora una volta paradossale nel chiudere uno scavo dell’anima così appassionato dentro una dinamica dialogica investigativa, scientifica e dunque apparentemente fredda, a volte persino monotona.
Quel che era stato un esperimento squisitamente didattico, condotto tra le mura di una scuola, rivive qui nella programmazione delle grandi platee, come quella del Teatro Bellini di Napoli, riempito un sabato pomeriggio fino al sesto ordine di palchi di spettatori messi di fronte alla fragile complessità di quest’arte.
«Trovo – scrive l’attore partenopeo nelle note di regia – le riflessioni di Jouvet particolarmente valide oggi per significare soprattutto ai giovani la nobiltà del mestiere di recitare, che rischia di essere svilito in questi tempi confusi». Allora è così che va osservata questa operazione, come un processo di nobilitazione del teatro portato al di là delle tribune sindacali e dentro la carne viva dell’arte.
Sergio Lo Gatto
Teatro Bellini, Napoli – gennaio 2017
ELVIRA
(Elvire Jouvet 40)
di Brigitte Jacques
da Molière e la commedia classica di Louis Jouvet © Éditions gallimard
traduzione Giuseppe Montesano
regia Toni Servillo
con Toni Servillo
e con Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri
costumi Ortensia De Francesco
luci Pasquale Mari
suono Daghi Rondanini
aiuto regia Costanza Boccardi
coproduzione Teatri Uniti, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa