Combustibili di Amélie Nothomb nell’adattamento di Samuele Chiovoloni di Teatro di Sacco, presentato alla Sala Cutu di Perugia e ora in scena al Teatro dell’Orologio di Roma. Recensione
Lo spazio cubico e nero della Sala Cutu di Perugia è tagliato verticalmente da tre lembi di tessuto bianco, a definire la profondità del fondale. Il confine è varcabile perché la stoffa è un diaframma morbido e le distanze tra un telo e l’altro sono piccole soglie che i personaggi attraverseranno spesso, suggerendo una topografia domestica più articolata o, forse soltanto, la propria volubile possibilità di eclissarsi dalla scena. Sul legno scuro del palco, solo due sedie, una grande stufa e tanti libri sparpagliati.
Combustibili è la nuova produzione di Teatro di Sacco per la regia di Samuele Chiovoloni che ha firmato anche la drammaturgia; si tratta di un adattamento del testo del 1994 di Amélie Nothomb, Les Combustibles – sola scrittura per il teatro della prolifica autrice belga – un dialogo a tre voci dentro una casa, al centro di una città, sotto l’assedio di una guerra misteriosa. Il Professore (Roberto Biselli), il suo assistente Daniel (Mauro Milone) e la studentessa Marina (Letizia Bravi) vivono reclusi nelle stanze gelate della casa del primo. Se all’inizio la possibilità di ardere i libri della biblioteca del Professore si profila come una fantasia provocatoria di Marina, diventa poi, con progressione inesorabile, il vertice simbolico di tutto il loro dibattere, l’allegoria preferita. Nelle note di regia Combustibili è definito «un testo algebrico»: in effetti il continuo riferimento nei dialoghi alle qualifiche accademiche dei protagonisti, pure in un contesto di surreale cattività, le fa funzionare come una nomenclatura esibita che rende ancor più rigido e distante lo sferzante gioco prossemico a tre vertici. Gli attori lo personalizzano in modo vivo e seducente, restituendo con sensibilità le nature ambigue dei personaggi, vittime di trappole relazionali di cui sono i coscienti costruttori.
L’autore prediletto, il testo da proteggere oppure il primo da dare alle fiamme sono veicoli di affermazioni identitarie, risposte deboli e presuntuose che il Professore, Daniel e Marina offrono all’emergenza ma, a volte, anche fessure perverse attraverso le quali traluce una fragilità benevola. La ricerca dentro il canone letterario occidentale (la pièce è disseminata di passaggi estratti dalla letteratura dell’Ottocento e del Novecento, mentre in Nothomb vengono solo nominati autori immaginari) è utilizzata drammaturgicamente in modo plurimo: territorio orizzontale di un evidente scontro agonistico, parete punteggiata di nicchie e rifugi (piccoli spazi in cui la parola auto-proiettiva può ancora essere pronunciata), cimitero di simulacri dove misurare la distanza ideologica che separa il tempo della pace da quello della guerra, spazio del cedimento alla violenza dello statuto materico – quello del libro-combustibile e quello del corpo, che cerca, prima della propria sopravvivenza, il proprio primato.
Mentre la vicenda triangolare si snoda nel rispetto delle unità aristoteliche, sono l’apparato visivo (a cura di Dromo Studio) e quello sonoro (di Nicola Fumo Frattegiani) a saturare e poi rompere i perimetri esili della narrazione realistica. Il fondale bianco diventa superficie di apparizione di frammenti filmici e animazioni che, in un gioco combinatorio coraggioso, definiscono un’espansione dell’immaginario potente proprio perché contaminata e libera.
Il legame tra l’azione scenica e il suo fluttuante habitat sembra orientato a una logica di correlazione oggettiva, fortemente dialettica e immaginifica. Si chiede allo spettatore di deporre l’impulso alla lettura lineare e di fidarsi della bellezza di questi frantumi strofinati gli uni sugli altri: l’estetica del videogame che lampeggia accanto all’infantile impotenza dei fonemi di Vonnegut, la dolcezza da polaroid dei fotogrammi di Tarkovskij e le ombre rovesciate dell’Hiroshima di Resnais proiettate, come fantasmi pieni di luce, dentro le stanze della farsa.
Questo corredo virtuale e il suo rapporto, fibrillante e mai retorico, con la drammaturgia definiscono un’alta intensità scenica, dentro la quale gli attori si muovono con sicurezza e grazia.
Combustibili è un lavoro che merita i tempi e gli spazi di un approfondimento che potrebbe, forse, svilupparsi anche in direzione di una sottrazione, di una selezione progressivamente più calibrata ed espuntiva delle forze messe in campo.
Dentro l’intimità in forma di scatola nera del piccolo teatro perugino, la sensazione è quella di uno studio articolato, sullo spazio e sui codici, che si sta schiudendo stilisticamente. Si avverte un’autentica vocazione alla ricerca che definisce la giusta consistenza e il magnetismo della trama invisibile delle pulsioni, una trasparenza che aggiunge intensità alle architetture del movimento e della scrittura senza sovrastarle. Da questo palazzo del mistero, immerso nella guerra barbarica, si sollevano domande conturbanti che, inevase, si prolungano nella memoria. Un dolore (anche storico), profondo e sapientemente filtrato dalla ricchezza dell’apparato tecnico, raggiunge lo spettatore balenando in forme sottili, restituito da una rifrangenza ottica, da una frequenza più alta nel frastuono dei bombardamenti, dalla purezza lapidaria di una battuta: «Per me, la guerra era già persa allora. L’ho capito il primo giorno di freddo».
Ilaria Rossini
Sala Cutu, Perugia – febbraio 2017
COMBUSTIBILI
dal testo di Amélie Nothomb
con Roberto Biselli, Letizia Bravi, Mauro Milone
regia e drammaturgia Samuele Chiovoloni
scenografie Saverio De Vito
video/animazioni Dromo Studio
sound design Nicola Fumo Frattegiani
aiuto regia Mascia Esposito
segreteria organizzativa Biancamaria Cola
produzione Teatro di Sacco