Al Teatro Parioli di Roma in scena Caesar di Alessandro Marmorini. Dalla Roma antica al mondo contemporaneo. Recensione
Prima di sciuparle nel chiacchiericcio, i luoghi comuni nascondono innanzitutto delle profonde verità. Lo stesso accade con quelle opere che conquistano l’epiteto di “classici”. Concepite in stagioni e geografie lontane eppure forti di uno spirito che si rinnova, che cambia, che non smette di rivelare, appunto, profonde verità. Ed ecco che la guerra di allora è la guerra di oggi, la politica di lì somiglia a quella di qui, la società di un tempo non sembra cambiata affatto. Con Shakespeare, poi, tutto accade in totale scioltezza, forse per quella qualità sopraffina che applica la poesia all’indagine profonda dell’umano: un’espressione perfetta per un obiettivo che non può non riguardare tutti. E sopravvivere così a quasi tutte le traduzioni e i più arditi allestimenti.
Al Teatro Parioli Peppino De Filippo di Roma, di fronte a una platea quasi esaurita da giovani avventori e meno giovani abbonati, abbiamo visto Caesar, adattamento del Giulio Cesare diretto da Alessandro Marmorini, che era già stato regista e coprotagonista di una versione dei Duellanti di Joseph Conrad. Dietro quell’adattamento c’era Matilde D’Accardi, che anche qui firma la drammaturgia di una riduzione estremamente misurata, severa e chiara negli intenti. C’è soprattutto il mostro del Potere, di cui parlano anche le note artistiche, questo “Frankenstein” impossibile da controllare la cui eco torna persino nella locandina, con un minaccioso primo piano dello spettro di Cesare virato in verde.
Se i Duellanti avevano incrociato le spade quasi senza l’aiuto di alcun mezzo economico, qui il Parioli sostiene un proprio “giovane ensemble”; a oggi, tuttavia, senza prospettive di circuitazione. Il salto produttivo, che si nota innanzitutto dalle dimensioni della sala (prima eravamo al Cometa Off), viene sfruttato da Marmorini con fantasia e coraggio, si materializza in un uso del palco non sovraccarico ed estremamente contemporaneo. Nessun fondale, mazzi di corde a vista, la scena ospita flight case che corrono su ruote a fare da tavolo e piano d’appoggio, sedie povere tra cui spicca la “sella domini” di Cesare, che parla al popolo dalle telecamere dell’emittente nazionale, riflettori manovrati dagli attori, pochi e funzionali oggetti e uno schermo pendente che commenta ascesa e caduta di Repubblica e Impero, con reali immagini di guerriglia urbana e comizi.
Le dramatis personae, a parte quelle che parlano dalle telefonate in vivavoce o nelle note vocali di WhatsApp, sono ridotte a Cesare, tiranno laido, un elegante Antonio e poi Bruto, Cassio e Casca (quest’ultimo virato al femminile), lo staff del “presidente” tutto smartphone e auricolari bluetooth. Tutti bene in parte e capaci di creare un buon ritmo nonostante l’attentato didascalico delle musiche a effetto. L’adattamento è dunque anche una trasposizione dell’opera ai giorni nostri, scelta non del tutto pacificata dalla regia, che pare indecisa tra la distopia e la marcata evidenziazione del fatto di cronaca a noi contemporaneo, senza tuttavia rinunciare nemmeno al coltello (o tagliacarte che sia) come arma del delitto. Sullo schermo, alternato alla narrazione postuma di colui che sarà il nuovo leader, Ottaviano, uno splitscreen fa incetta di tutte le sequenze note o meno che riguardano rivolte di piazza, esplosioni, proteste contro Trump, Tony Blair, tsunami, telegiornali, terremoti, Maurizio Crozza, Hugh Grant e bagarre in parlamento, finendo sulla celebre foto del bambino di Aleppo seduto sulla poltrona dei soccorsi.
Le immagini scorrono sulle battute in versi degli attori creando ora un fecondo straniamento, ora una mitragliata di input che spara a zero su tutto, tarpando in parte le ali a una regia più matura della precedente, a una drammaturgia ben cesellata che ha forse un solo neo, già denunciato in altri adattamenti della stessa opera, quello di penalizzare la potenza drammaturgica di Calpurnia e Porzia, due personaggi femminili che sembrano messi apposta lì dal Bardo per fare ordine in una folle tribù politica di maschi.
Al di là di queste criticità, da lodare resta comunque la volontà di rischiare alla ricerca di una terza via, una volta tanto molto ben commisurata ai mezzi, di là dalla filologia o dal totale stravolgimento. Il dado del “classico” è stato tratto, dunque, lasciando quasi del tutto libera la sua straordinaria capacità di rotolare e di fermarsi mostrando una faccia in ogni caso inaspettata – che può ancora parlare all’orecchio dello spettatore non interessato solo ai colpi di teatro.
Sergio Lo Gatto
Teatro Parioli Peppino De Filippo, Roma – febbraio 2017
CAESAR
da William Shakespeare
adattamento Matilde D’Accardi
regia Alessandro Marmorini
con Carlotta Mangione, Davide Paciolla, Stefano Patti, Francesco Petruzzelli
e con Roberto Negri
con la partecipazione straordinaria in video di Pietro Biondi