Migliore è il monologo scritto e diretto da Mattia Torre con Valerio Mastandrea, in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma. Recensione
Assertività. Oltre le tematiche del cinismo, del disprezzo sociale, dell’arrivismo, è lo spiraglio che si apre in Migliore, in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma con Valerio Mastandrea. Scritto nel 2005, e forse da vedere in quegli anni con uno sguardo più fresco meno abituato alla serialità e alla sceneggiatura televisiva, torna oggi come secondo dei tre spettacoli dell’autore Mattia Torre presenti nel cartellone dell’Ambra Jovinelli; monografia questa (con Qui e Ora e 456 che seguirà dal 7 al 12 febbraio) e fase prodromica per un progetto di collaborazione tra l’autore e lo stesso Ambra Jovinelli che sarà trasversale tra televisione, editoria e teatro. Appunto, Mattia Torre. Sceneggiatore, autore teatrale e regista, al secolo ri-conosciuto come uno degli autori della fortunatissima serie Boris, e per ultimo nel 2015 di Dov’è Mario? con Corrado Guzzanti, compone un monologo sulla storia di Alfredo Beaumont: uomo insicuro, normale, vessato dalla richiesta che l’altro – sia questo la società, i genitori o i colleghi – impone su di lui. Un uomo pieno di paure, di prudenza, impiegato di un “call center” di lusso che deve esaudire telefonicamente i desideri dei clienti di una carta premium; coinvolto in un goffo incidente, però, sarà capace di affermare sé stesso, di avviare la sua metamorfosi in uomo “migliore”. Assertività, dunque, come capacità di esprimere in modo netto le proprie emozioni e opinioni. Mentre il protagonista alza la testa, si impone, usa la forza, il testo lascia spazio a una domanda: è un bene o un male? Mentre il meccanismo di identificazione con il pubblico funziona alla perfezione con il protagonista che dà sfogo a un istinto di liberazione, e poco prima che il ciclo si chiuda e “migliore” acquisisca un’accezione negativa, ci si continua a chiedere: ciò che sta facendo, è un bene o un male?
Urgenza. È la domanda che ci si pone invece di fronte all’operazione teatrale tra testo, interprete e meccanismo. La voce di Valerio Mastandrea arriva da un microfono, riconoscibile nel timbro e nel carattere, tra emozione e comico cinismo ai quali la TV ci ha abituato. Il monologo non ha cedimenti, l’interpretazione si affida al carattere di Mastandrea senza alcuna necessità di grandi salti, senza aperture o voli visionari, senza alcuna scenografia oltre il disegno luci. D’altronde stiamo parlando di un uomo normale, l’Alfredo Beaumont che a detta della sinossi diventerà un “uomo cattivo”. Ma chi è un uomo cattivo? Durante la messinscena siamo in ultima fila, e nonostante la sagoma di Mastandrea sia sì visibile ma non apprezzabile nei tratti, la maschera ironica dell’attore romano è riconoscibile nel suo corpo, nella voce. Caratteristiche che conosciamo tutti, che noi romani facilmente apprezziamo, che si lasciano seguire con piacere per tutto lo spettacolo, assecondando la struttura narrativa del monologo; la drammaturgia è lì, visibile, costruisce in maniera studiata, mai sporca o viscerale, il suo meccanismo. Si ride, si segue. Se però ci si aspetta qualcosa di diverso, se incuriosisce la possibilità che rappresenta l’incontro dell’attore con il teatro, se si cerca dove il palcoscenico possa intervenire e scardinare l’idea cinematografica di un attore e di uno sceneggiatore che già amiamo, l’appuntamento rimane disatteso.
Sold out. È la risposta del pubblico, che lo consacra. In sala tutti seguono, dall’inizio alla fine, l’effetto ‘personaggio di successo’ amplifica le risate, come spesso accade. All’uscita fa molto freddo, le macchine parcheggiate lungo il marciapiede che costeggia la Stazione Termini spariscono, qualche signora usufruisce del Radio Taxi posizionato direttamtente nel foyer; poi, spente le luci della facciata liberty, la zona tra Termini e Piazza Vittorio si abbandona alla notte.
Luca Lòtano
Teatro Ambra Jovinelli, Roma – gennaio 2017
MIGLIORE
Presentato da Nuovo Teatro
Con Valerio Mastandrea
Regia Mattia Torre
Scritto da Mattia Torre