Il coreografo Michele Pogliani presenta al Teatro Vascello di Roma Ananke, una creazione per cinque danzatori. Recensione
Forse non vi è nulla che più della danza sappia avvicinarsi alla nozione di desiderio inteso come necessità. Erompendo inattesa dal corpo, evocata magari da un accenno di pensiero, da un ritmo, da un insieme di corrispondenze e condizioni che mettono in moto l’organismo danzante, la danza potrebbe essere annoverata come una delle leggi di natura.
Così, il coreografo Michele Pogliani sembra aver immaginato Ananke, la sua nuova creazione per cinque danzatori, cinque corpi maschili (Enrico Alunni, Gennaro Maione, Gabriele Montaruli, Ivan Montis e Mattia Raggi) che, in una scena resa atemporale da un disegno luci particolarmente plastico, si sfidano a sfibrare le proprie forme naturali secondo un ordine altamente rigoroso che pretende grande padronanza tecnica.
Nella logica di un movimento che è concepito come estensione del dominio della carne, nulla è concesso alla creatura danzante se non la totale sottomissione a forme che implacabilmente lo attraversano una dopo l’altra e che richiedono, fisiologicamente, una grande tenuta muscolare. In questo senso, i cinque organismi che danzano nel nostro sguardo sono corpi densi e concretamente immemori, senza passato e senza futuro, che agiscono il positivo rinnovarsi del presente estremo sfiorando solo in parte una questione di genere che, nella scrittura della coreografia, non viene affrontata pienamente.
Il dilemma che allo stesso tempo sembra stimolare e dividere questa ricerca coreografica affonda le proprie radici nella complessità della parola che dà il titolo allo spettacolo. Qui, questo raffinato termine greco si concede nella sua veste più multiforme, segnando visivamente una danza fatta di contrapposizioni sia corporee sia spaziali che giocano con il controllo e con il sovvertimento dei sensi, del movimento e anche della necessità se la intendiamo come quel qualcosa su cui non è possibile esercitare un potere.
Ananke è scandito da musiche dalle sonorità elettroniche che sembrano scollare corpo e suono evocando la trance, ma senza concedere una reale perdita del controllo, né ai corpi né alla mente né alle loro rispettive geometrie, soprattutto nel momento in cui questi sembrano addentrarsi più profondamente nella componente fisica della domanda che sospinge l’urgenza dell’andare in scena.
Tra istanze di chiusura e dischiusura, la scultorea formalità del gesto non ha nessuna intenzione di nascondere o filtrare la filiazione nel quale si inserisce il lavoro coreografico di Michele Pogliani. Dopo un lungo periodo trascorso negli Stati Uniti, il coreografo romano è entrato in contatto con numerose realtà coreografiche europee presso le quali ha iniziato a sviluppare il proprio linguaggio espressivo. In Italia, le sue collaborazioni più conosciute sono state quelle con il Balletto di Toscana, con il Balletto del Teatro Nuovo di Torino e con il Balletto di Roma. La sua danza, che sembra nascere immersa in un liquido denso che offre costante resistenza ai muscoli dei danzatori, ricorda in parte alcune esperienze coreutiche contemporanee provenienti da Israele, Sharon Eyal in primis.
I costumi di Tiziana Barbaranelli giocano sui toni del nudo e del nero con gonne pantalone e veri e propri harness di ispirazione fetish che distinguono singolarmente i danzatori attraverso forme, lacci, punte e triangoli aderenti alle spalle e alla parte superiore del busto come un esempio di geneticamente modificate, sovrannaturali ali nere. In una sola scena, due danzatori in equilibrio su scarpe dai tacchi altissimi appaiono vestiti da tute aderenti di colore rosso e azzurro che interrompono l’eleganza visiva dei quadri precedenti. Le luci, interessanti ma forse eccessivamente strutturate, partecipano alla drammaturgia dello spettacolo creando spazi quadrati nei quali i danzatori appaiono e scompaiono alternativamente e una serie orizzontale di colonne luminose mobili che agisce come una gabbia che avanza verso il proscenio per poi tornare indietro.
Dotato di una chiara identità formale che non rivoluziona le precedenti linee di ricerca del coreografo, lo spettacolo spezza l’intensità della propria drammaturgia in alcuni momenti, ma in altri trova soluzioni che lasciano allo spettatore il piacere di entrare nella danza di corpi in bilico tra scelta e sottomissione, così come ananke può indicare anche il luogo del possibile sfibramento dovuto alla promiscua, martellante frizione tra amore e necessità.
Gaia Clotilde Chernetich
Teatro Vascello, Roma – gennaio 2017
ANANKE
coreografie Michele Pogliani in collaborazione con I danzatori
interpreti Enrico Alunni, Gennaro Maione, Gabriele Montaruli, Ivan Montis, Mattia Raggi
Costumi Tiziana Barbaranelli
Luci Stefano Pirandello
Musiche Autori vari
produzione MP3PROJECT EVENTS