QUINTA DI COPERTINA. Il regista e drammaturgo Marco Martinelli con il suo ultimo libro Aristofane a Scampia immagina un altro modo per raccontare i nostri tempi.
In un mondo che propone poco più che la propria sopravvivenza e dove l’egemonia del declino troneggia tra claudicanti strategie del sorpasso, il racconto di Marco Martinelli sulla sua “non-scuola” è un antidoto corale alla stagnazione. Un antidoto che è smarrimento, perché del perdersi e ritrovarsi fa il proprio metodo, perché della paura di sbagliare e dell’imbarazzo dell’errore fa ricchezza.
Venticinque anni di non-scuola per il Teatro delle Albe, un’esperienza nata per sfida e con qualche perplessità, ma senza esitazione: nel libro Aristofane a Scampia (pubblicato lo scorso settembre per i tipi di Ponte alle Grazie) diventano racconto generoso, mai supponente.
Perché il rischio della supponenza c’è quando si parla di adolescenti o dei metodi per “salvarli dal mondo”, c’è soprattutto quando il proprio lavoro pare funzionare, non solo per i ragazzi ma per il teatro intero che, senza troppe strategie, non ripropone la vita per imitazione, ma la percorre esplorandone gli eccessi, i vuoti, le frenesie e l’effervescenza. Martinelli racconta un teatro che non è per ragazzi, ma è la loro scoperta al di là del limite imposto dalla società e dagli sguardi degli adulti. È un gioco teatrale che somiglia molto a quello dei bambini, quando non ci sono occhi esterni a dirigerne i percorsi, ma solo qualcuno che con loro attraversa i confini.
La pace di Aristofane arriva a Scampia, l’Ubu di Jarry beve i cocktail delle discoteche romagnole poi sbarca a Chicago, in un melting pot di culture dove pistole giocattolo provano a sovvertire le gerarchie del potere, e infine si ricrea nel villaggio africano di Diol Kadd, sedotto dal sole e dai colori. Scegliendo mille occasioni e altrettanti modi di non accomodarsi nelle sale delle istituzioni, la non-scuola ha trovato il proprio punto di fuga là dove le orme dei ragazzi parlano di attraversamenti e sconfinamenti. Bisognerebbe imparare quel “Noboalfabeto” (21 lettere pensate come abecedario per la non-scuola) dove la A appartiene all’Asino che sappiamo essere “d’oro” e non privo di intelletto nel racconto classico di Apuleio.
I classici, appunto, ma quando della spontaneità avevano tutta l’effervescenza, quando ancora non sapevano di essere classici. Il racconto della vita del giovane Shakespeare, di un tormentato Aristofane, di un visionario Molière contagia gli adolescenti e, dai versi di Matteo Maria Boiardo al giovane Majakovskij o ai cori ultras urlati a sguarciagola dai ragazzi di Scampia, il teatro torna a parlare della vita, o meglio ancora della “messa in vita” lontano dalla “scena”.
Lo firma Martinelli, ma Aristofane a Scampia ha l’aspetto di un racconto corale, la sua armonia, le piccole stonature e i diversi timbri, la danza di Ermanna Montanari, la costanza delle Albe e la ricchezza di tutte le “guide” che si sono messe in gioco in venticinque anni. Senza paura di sbagliare, non temendo le contraddizioni che il fare sempre implica, Martinelli ci racconta della non-scuola e dello spazio percorso senza strategie di prudenza. L’adolescenza non è più tabù innominabile, semmai è la bussola per seguire un diverso teatro e farne furore.
La particolare necessità della non-scuola è il riempimento di uno spazio assente, è il Farsi luogo di cui Martinelli già ci ha parlato, dove l’invisibile è il motore della visionarietà di chi alza lo sguardo. È in questo terreno dell’impossibile che il teatro può permettersi di attraversare i limiti senza indicare grandi strade, ma esibendo il lusso della vita.
Aristofane a Scampia
Editore: Ponte alle Grazie
pp. 163
euro 14,00
Isbn: 978-88-6833-573-1
Data di pubblicazione: settembre 2016