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Amuleto. Maria Paiato e la poesia del Latinoamerica

Al Teatro India di Roma Maria Paiato è Auxilio Lacoutoure, dal romanzo breve Amuleto di Roberto Bolaño, con la regia di Riccardo Massai. Recensione.

Quando tutto è finito, a fianco a me un amico cileno batte le mani a tempo su Todo cambia di Julio Numhauser interpretata da Mercedes Sosa; commosso, mi racconterà poi di Pinochet e della cantante argentina che salutò la caduta del dittatore del vicino Cile con un «ya cayò! ya cayò!», intercalato al ritornello della canzone che continua a suonare nella sala del Teatro India mentre le luci si accendono e gli spettatori nelle prime file si alzano in piedi; ma non per andar via. In quegli uomini, in queste mani che battono a tempo su un ritmo sofferente, tutta l’America Latina e i suoi poeti-eroi che Auxilio Lacoutoure, il personaggio interpretato da Maria Paiato, ha stretto tra le braccia come una madre durante lo spettacolo. Noi, Mercedes Sosa, possiamo vederla solo su youtube, a Viña del Mar mentre davanti alla folla sterminata del suo primo concerto in Cile intonando Todo Cambia per poi concedersi in passi di “cueca”, ballo di coppia che le vedove dei desaparecidos (sorte alla quale Bolaño riuscì a fuggire) ballavano da sole nelle manifestazioni.


Il canto dei poeti messicani, il regime, la stagione rivoluzionaria di una generazione di giovani latinoamericani, la geografia di un continente; Amuleto di Roberto Bolaño è un romanzo breve; è un oggetto da non guardare a lungo senza sentirne l’effetto ipnotico della narrativa dell’autore cileno; diretto da Riccardo Massai, è uno spettacolo teatrale che nel solo racconto, tra dolore e ironia, in una maniera così semplice da non creare scalpore, concede al pubblico il piacere intimo e privilegiato del teatro.

foto Alessandro Botticelli
foto Alessandro Botticelli

Il 18 settembre 1968 i reparti antisommossa fecero irruzione nella facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico, lì Auxilio Lacoutoure, poetessa uruguayana, rimane chiusa in bagno con le mutande abbassate e i versi poetici di Pedro Garfias sulle gambe. Unica scampata al rastrellamento che finirà poi nel massacro di Tlatelolco il 2 ottobre, rimane barricata nel bagno del quarto piano della facoltà per dodici giorni. Da lì, in realtà, non uscirà mai; in quel luogo protetto e disperato che è la poesia, Auxilio resterà imprigionata una vita, ed è da lì che Maria Paiato, senza muoversi, lascia che il pubblico possa accarezzare i suoi figli, i poeti che nel fervore rivoluzionario vissero al suo fianco e poi morirono.

foto Alessandro Botticelli
foto Alessandro Botticelli

La forza immaginifica del testo fa rivivere in Auxilio i suoi ricordi, nitidi e visionari, nei quali la memoria storica è assediata costantemente da una memoria poetica. Il racconto dello spettacolo non ha tempo, rimane sospeso, ingenuo e ironico come le gambe di Auxilio alzate in aria e tenute strette dalle mutande sulle caviglie mentre un soldato controlla i bagni senza accorgersi della sua presenza. Davvero, come recita l’incipit dell’autore, questa è una storia di terrore che di terrore non sembra, perché a raccontarla è una voce ingenua e ironica, è la fisicità composta e l’espressività abbacinante di Maria Paiato. Il tempo della narrazione riprende quello della poesia, le luci quello della realtà piccola e immaginifica delle parole della poetessa uruguayana; se il lavoro drammaturgico punta alla fedeltà e al portare nel testo teatrale la fascinazione nello spettatore per il racconto, la regia di Riccardo Massai compie un’opera ricercata, minuscola, perché infinitesimale è il dettaglio. Le luci non sono altro più che ambienti, vividi, abbozzati e autentici come solo il ricordo riesce a fare.

Quello della dittatura e, soprattutto, del fervore rivoluzionario, non è una storia che noi italiani sentiamo viva; nel monologo non c’è azione se non quella descritta e lasciata all’immaginazione dello spettatore; il testo non è semplice, la scrittura è un’operazione complessa – finalmente – accessibile per ognuno in maniera diversa; più volte, durante la birra dopo lo spettacolo, il mio amico cileno mi chiarirà dei passaggi storici, culturali che non avevo colto. Eppure lo spettacolo, Produzione Archètipo in collaborazione con Teatro Metastasio, Stabile della Toscana, ci ricorda ancora una volta qual è quel balenare negli occhi, quell’interrogare l’anima al quale il teatro che è chiamato.

Luca Lòtano

Teatro India, Roma – gennaio 2017

AMULETO
di Roberto Bolaño
traduzione Ilide Carmignani (Adelphi)
regia Riccardo Massai
con Maria Paiato
produzione Archètipo
in collaborazione con Teatro Metastasio, Stabile della Toscana

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Luca Lòtano
Luca Lòtano
Luca Lòtano è giornalista pubblicista e laureato in giurisprudenza con tesi sul giornalismo e sul diritto d’autore nel digitale. Si avvicina al teatro come attore e autore, concedendosi poi la costruzione di uno sguardo critico sulla scena contemporanea. Insegnante di italiano per stranieri (Università per Stranieri di Siena e di Perugia), lavora come docente di italiano L2 in centri di accoglienza per richiedenti asilo politico, all'interno dei quali sviluppa il progetto di sguardo critico e cittadinanza Spettatori Migranti/Attori Sociali; è impegnato in progetti di formazione e creazione scenica per migranti. Dal 2015 fa parte del progetto Radio Ghetto e sempre dal 2015 è redattore presso la testata online Teatro e Critica.

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