Aminta di Torquato Tasso nella versione multimediale di Luca Brinchi e Daniele Spanò in scena al Teatro India di Roma. Recensione
L’Aminta prodotta dal Teatro di Roma insieme a Spellbound, dopo il debutto alla Sagra Malatestiana 2016 e una sortita a Short Theatre 11, approda al Teatro India di Roma, incastonata sul fondale del foyer principale. In un gelido gennaio una fila di ventilatori industriali tira su i baveri agli spettatori e gonfia tre teli bianchi, dove il primo piano delle bocche di due attori e un’attrice pronunciano le prime parole. Sono e saranno il coro di questa «favola boschereccia» scritta da Torquato Tasso per «l’Eccellentissimo signor il signor don Ferrando Gonzaga» nel 1573 e destinata a diventare una delle perle della fiaba pastorale, sorta di dramma satiresco popolare nell’alta società rinascimentale e ambientato rigorosamente tra boschi e laghi fuori da ogni tempo.
Tra ninfe, pastori, satiri, cacciatori e semidei si svolge, in questo genere nostalgico, l’eterna lotta tra Amore e Natura. E da qui parte l’ingegnosa rilettura multimediale firmata da Luca Brinchi e Daniele Spanò, due artisti ben noti al pubblico romano e nazionale per la loro sperimentazione con luci e video e suoni, già riuniti in altri sodalizi.
La bella ninfa mortale Silvia (Clelia Scarpellini) rifiuta fermamente l’amore del giovane pastore Aminta (Lorenzo Anzuini). Lei sorda ai consigli di Dafne, che la vorrebbero meno austera; incoraggiato lui da quelli del poeta consigliere Tirsi, che gli promettono vittoria grazie a una profonda fede nella volubilità dell’essere femminile. Un terzo personaggio, l’antagonista, sopravvive alla riduzione del testo (le cui drammaturgia e analisi filologica e autorale sono curate da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri – Industria Indipendente): il Satiro che tenterà di violentare Silvia, l’unico corpo vivo a comparire in scena, di contro al resto della narrazione animato dalla drammaturgia virtuale.
Questi ha il volto e soprattutto i muscoli del culturista Davide Pioggia: muto ma elegante, sfoggia un sardonico sorriso mentre si cosparge il corpo tutto di crema bruna e assume le pose della competizione.
In questo trionfo della virtualità – che investe composizione visiva e narrazione – Tirsi e Dafne diventano due megafoni, oscillanti su un congegno meccanico come enormi metronomi che segnano la supremazia del tempo; i due protagonisti – volti e corpi puliti, innocenti, candidi, femminili entrambi a dispetto della differenza dei sessi – sono giovani non professionisti che offrono la propria forte presenza iconica a un montaggio video realizzato con grande cura, un sapiente gioco delle proporzioni e ottimo ritmo di montaggio, accordato alle efficaci musiche di Franz Rosati e al rimbalzo della metrica.
Dopo aver tentato invano di conquistare i favori della giovane, Aminta si convincerà a raggiungerla nel bosco, al torrente dove sfoggia la sua eleganza da vestale. Ma il satiro lo precederà. L’oscenità solitaria e ammiccante di quest’ultimo, rappresentata attraverso il culturismo (esibizione formale, non sostanziale; estetica, non funzionale) sembra mostrare la messa in forma di quella stessa vanità alla quale Silvia cede, consegnando così il proprio corpo seminudo – quasi mai inquadrato, nella scena del bosco, frontalmente – alle insidie di quegli stessi piaceri cui ha scelto di rinunciare.
Il lieto fine che unirà gli amanti perde quasi del tutto la propria rilevanza, l’operazione sembra piuttosto soffermarsi sul concetto di visione, su una sorta di voyeurismo arcadico tutto separato dalla terra, sul piano dello schermo, sospeso sulla scena. Unici elementi radicati alla terra sono il satiro e lo stesso Brinchi, che apre l’azione tatuandosi dal vivo su un dito la scritta «s’ei piace, ei lice», «se piace, è lecito». Questo aforisma, presentato dal Coro della Scena Prima come «legge aurea, e felice», è la concessione totale alla volontà che da un lato sta alla base dell’immaginario pastorale, dall’altro si fa fantasma psicanalitico, la chiave verso un piacere senza limiti.
Leggendo così questa raffinata e magnetica operazione, ne si perdonano certi estetismi e, se pure si resta affamati di altri possibili sentieri della rappresentazione, si realizza poi che la negazione di quello stesso “ei piace” lascia spostare l’attenzione sulla vastità di quell’“ei lice”. E la drammaturgia virtuale riesce con ingegno a dare giusta forma a questa delicata sostanza.
Sergio Lo Gatto
Teatro India, Roma – gennaio 2017
leggi il testo integrale di Aminta
AMINTA
S’ei piace ei lice
regia, scene, luci e video Luca Brinchi e Daniele Spanò
drammaturgia e analisi filologica e autorale Erika Z. Galli e Martina Ruggeri (Industria Indipendente)
performer Davide Pioggia
musiche Franz Rosati
costumi Gucci
in video Lorenzo Anzuini, Clelia Scarpellini
voci Michael Schermi, Francesco Bonomo, Giorgia Visani, Michele Degirolamo, Flaminia Cuzzoli