Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Nel numero 52 riflessione sugli scritti protrettici di Galeno dedicati al raggiungimento della felicità.
In Teatrosofia, rubrica curata da Enrico Piergiacomi – Collaboratore di ricerca post doc dell’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.
L’opuscolo incompiuto di Galeno dal titolo Esortazione alla medicina appartiene al genere degli scritti “protrettici”, ossia di invito a praticare una determinata arte o disciplina, per raggiungere in vita la felicità a cui ogni essere umano può e deve aspirare. Come si evince dal titolo stesso, il medico si propone di dimostrare che quella che merita di essere maggiormente praticata è l’attività medica. Al contempo, però, Galeno menziona altre arti e discipline, che sono altrettanto degne di essere praticate in vita e seguono tutte il corteo del dio Mercurio, simbolo della ragione che mette ordine all’esistenza, disponendosi secondo tre precise file gerarchiche. La schiera preminente include – insieme alla medicina – la filosofia, la geometria e l’astronomia. La seconda fila annovera, invece, attività pratiche e intellettuali più “leggere” (architettura, pittura, ecc.). Infine, la terza è composta genericamente da tutte le restanti arti, che forse vanno identificate con quelle meccaniche e manuali citate molto in là nell’opuscolo, quali la tessitura e la metallurgia.
Ciò che ci interessa in questa sede non è, tuttavia, quel che è presente nell’opuscolo di Galeno, bensì quanto vi è di assente. Il medico non menziona mai il lavoro dell’attore. Questo silenzio spalanca un grande problema, se messo in risonanza con un altro passo dell’opuscolo (cap. 9, § 1), in cui Galeno accenna al fatto che non tutte le attività umane sono necessariamente arti. Tali sono, infatti, solo tutte quelle discipline che sono utili alla vita. In altri termini, il silenzio di Galeno può essere o dovuto al fatto che il lavoro dell’attore è annoverato tra le arti manuali e generiche della terza fila del corteo di Mercurio, o tra le discipline non artistiche, inutili per l’esistenza e, conseguentemente, per la felicità in questa vita.
Quale delle due ipotesi è più probabile e ragionevole? La cautela è qui assolutamente d’obbligo. L’incompiutezza dell’opuscolo e l’assenza di menzioni esplicite al lavoro dell’attore in altre opere di Galeno – con la sola eccezione della metafora dell’interprete di Ippocrate col commediante – non consentono di fornire una risposta sicura e non arbitraria.
Se si osserva più da vicino il passo in cui il medico sostiene che alcune attività non sono arti, tuttavia, risulta forse maggiormente plausibile la prospettiva che la recitazione non rientra tra le discipline artistiche. Qui, infatti, Galeno usa come esempio di false arti le attività “ludiche” (camminata sui trampoli e acrobazia), così come le costruzioni di Mirmecide e Callicrate, autori tra le varie cose di giocattoli e piccole statuette del tutto superflue. Se si ricorda che moltissimi filosofi antichi disprezzavano la recitazione e la considerassero un’attività che mira al mero piacere dei sensi, non si può escludere che anche il lavoro dell’attore appartenesse a tale categoria.
Questa visione ha naturalmente un’altra grave conseguenza. Se la recitazione non è per Galeno un’arte, essa non seguirà nemmeno il corteo di Mercurio, dunque sarà praticata da individui inutili e senza dio. Inoltre, tenendo anche conto che l’incipit dell’opuscolo riporta che l’uomo si distingue dall’animale perché eccelle nell’uso della ragione e dell’attività artistica, ne seguirà che un attore non è veramente umano, bensì una bestia, visto che il suo lavoro non ha nulla di artistico. Il silenzio di Galeno risulta, pertanto, molto più dannoso e infamante per gli attori di mille parole ben scelte per criticare apertamente il loro lavoro.
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Ma guarda viceversa Mercurio, che è signore della ragione e coltiva ogni arte, come, al contrario della Fortuna, gli antichi l’hanno ornato con le pitture e le sculture. È un giovinetto leggiadro, di una bellezza non acquistata con ornamenti, ma tale che si riflette subito attraverso ad essa la virtù dell’anima. Ha gli occhi radiosi e lo sguardo penetrante, e la sua base ha la forma più salda e più fissa di tutte, il cubo. E talvolta ornano il dio stesso con questa figura. Puoi vedere i suoi devoti ilari come il dio che li guida, e non l’accusano mai come gli altri la Fortuna e non sono mai abbandonati e non si separano, ma lo seguono e godono continuamente della provvidenza di lui (Galeno, Esortazione alla medicina, cap. 3, §§ 1-2)
Quelli dell’altro corteo [cioè di Mercurio, avverso alla Fortuna] sono tutti ordinati e praticanti di qualche arte, e non corrono né gridano né litigano tra loro; ma in mezzo ad essi sta il dio e intorno a lui tutti stanno in ordine nel posto che ciascuno ha avuto da quello e che non lascia: alcuni molto vicino al dio e intorno a lui ordinati in circolo, studiosi di geometria e matematica e filosofia e medicina e astronomia e filologia, subito dopo questi la seconda schiera, pittori, scultori, maestri di scuola, artigiani del legno e architetti e intagliatori di pietra, e dopo questi anche la terza schiera, tutte le restanti arti (Galeno, Esortazione alla medicina, cap. 5, § 1)
Ma poiché nelle arti duplice è la principale divisione – alcune di esse riguardano l’intelletto e sono onorabili, altre sono poco apprezzabili e si esercitano con la fatica del corpo, e le chiamano appunto meccaniche e manuali -, sarebbe meglio cercare di applicarsi ad una delle arti della prima categoria, perché in verità il secondo tipo suole abbandonare i possessori quando sono vecchi. Appartengono alla prima classe la medicina e la retorica e la musica, la geometria e l’aritmetica e la computisteria, l’astronomia e la grammatica e la giurisprudenza. Aggiungi, se vuoi, a queste la scultura e la pittura, le quali, se anche si realizzano con le mani, tuttavia la loro esecuzione non ha bisogno di un vigore giovanile. Qualcuna dunque di queste arti deve intraprendere ed esercitare il giovane che ha un’anima nient’affatto simile a quella d’una bestia, e fra queste preferibilmente la migliore, che è, per nostra affermazione, la medicina. Proprio questo dobbiamo dimostrare subito di seguito. [Ma il trattato si interrompe qui (n.d.a.)!] (Galeno, Esortazione alla medicina, cap. 14, §§ 4-5)
Orsù dunque, fanciulli, quanti avete udito i miei discorsi e vi siete mossi ad imparare un’arte: state attenti che qualche impostore e ciarlatano non abbia da ingannavi e non vi faccia apprendere un’arte vana o nociva, sapendo che tutte le occupazioni il cui fine non è utile alla vita non sono arti. E quanto alle altre (occupazioni) sono pienamente convinto che anche voi non le considerate, nessuna, un’arte, per esempio stare in equilibrio su un’alta pertica e camminare su funi sottili e volteggiare senza vertigini o quali sono le (costruzioni) dell’ateniese Mirmecide e dello spartano Callicrate (Galeno, Esortazione alla medicina, cap. 9, § 1)
Se proprio non partecipino affatto della ragione gli esseri viventi chiamati irrazionali, non è chiaro, perché, anche se non posseggono la (ragione) che si manifesta con la voce e che chiamano verbale, tuttavia forse partecipano almeno di quella che riguarda l’anima e che chiamano intima, tutti, chi più chi meno. Che però gli uomini siano quanto mai superiori ad essi, per noi è evidente, se guardiamo alla quantità delle arti a cui questo essere vivente si applica e al fatto che solo l’uomo, capace di scienza, impara l’arte che vuole. Gli altri animali sono quasi tutti senza arti, tranne alcuni veramente pochi fra essi; ma anche questi hanno avuto un successo in (certe) arti più per (istinto di) natura che per scelta propria; l’uomo invece non trascura alcuna (arte) che quelli hanno, ma ha imitato l’arte del tessere dei ragni e costruisce come le api e riesce a nuotare anche se cammina sulla terra, ma non resta privo neppure delle arti divine, esercitando l’arte medica di Asclepio ed esercitando oltre questa stessa di Apollo, anche tutte le altre (arti) che (il dio) possiede, quella di tirar d’arco, la musica, la divinazione, e ancora quelle proprie di ciascuna Musa, perché non si astiene né dalla geometria né dall’astronomia, ma indaga le cose che sono sotto terra e quelle al di sopra nel cielo, come dice Pindaro. E riuscì a procurarsi per la sua laboriosità il maggiore dei beni divini, la filosofia. Per questi motivi dunque, anche se gli altri animali partecipano della ragione, per eccellenza e solo fra essi l’uomo è chiamato razionale (Galeno, Esortazione alla medicina, cap. 1)
[Cito i passi dell’opuscolo di Galeno da Adelmo Barigazzi (a cura di), Galeno: Sull’ottima maniera d’insegnare, Esortazione alla medicina, Berlin, Akademie Verlag, 1991]
Enrico Piergiacomi