Teatropersona presenta due studi su Macbettu al Teatro Massimo di Cagliari. Recensione dell’adattamento in sardo del Macbeth
Cupo. Aspro. Terroso. Sanguigno. Si presenta così Macbettu di Alessandro Serra, adattamento in sardo del Macbeth di Shakespeare, andato in scena, nei primi due studi, al Teatro Massimo di Cagliari nei mesi di settembre e novembre 2016. Ma non si tratta solo di una riduzione linguistica, reali e nobili scozzesi sono trascinati in una Sardegna arcaica. La suggestione arriva durante un reportage fotografico tra i Carnevali della Barbagia, la cui potenza e mistero impressionano profondamente il regista. È una vera e propria visione quella che Serra dichiara di aver avuto in Barbagia, scelta come luogo della vicenda per le analogie trovate con la tragedia scozzese. Nessuna connotazione geografica esplicita, però: quello evocato è un luogo remoto, una natura ignota in cui si muove l’umano. Il palco è abitato soltanto da tre lunghi tavoli di metallo, che, posti in posizione orizzontale o verticale vanno a formare, a seconda delle ambientazioni, le porte del castello, i tavoli del banchetto, o gli alberi della foresta. Quella che scorre davanti ai nostri occhi è una lunga, luttuosa notte, la cui oscurità è esaltata dal sapiente uso delle luci e dall’accurata scelta di materiali e colori. Bianco e nero per le vesti, le sottane, i corpetti, le camicie, i berretti, e qualche accenno di rosso, per il vino e per il sangue. Sono di ferro, pietra, corda, sughero, i pochi elementi che vediamo alternarsi sulla scena, che appare fosca, e polverosa. Gli attori sono otto, rigorosamente maschi, come vuole il teatro elisabettiano e come richiedono anche le tradizioni del Carnevale sardo.
Abiti femminili vestono corpi maschili nel caso delle tre streghe, le prime a comparire sul palco in un vociare sommesso. Gobbe, gonna lunga e fazzoletto in testa, rappresentano la maschera di Sa filonzana, che, richiamando le Parche, tesse le fila del destino degli uomini, così com’è per le streghe shakespeariane. Una figura inquietante che Serra rende giocosa, nelle movenze e nei toni, stemperando così l’atmosfera, ammantata di una certa gravità. Il suono, quel riecheggiare di campanacci rubato ai Mamuthones – maschere tipiche di Mamoiada – contribuisce ad acuire la cupezza e la profondità di alcuni silenzi. Non manca una dose di animalità che viene messa in primo piano in alcune scene, come all’arrivo di Duncan al castello quando le guardie, a carponi e petto nudo, divengono porci che Lady Macbettu sfama e ubriaca. Fanno capolino, verso la fine, maschere antropomorfe e zoomorfe, quelle che si vedono sfilare per le strade di Ottana o di Mamoiada nel periodo pre-pasquale. Ma per vedere la scena della foresta che avanza dovremo aspettare il debutto, previsto sempre al Teatro Massimo di Cagliari per il 22 e 23 marzo 2017, dopo le anteprime di gennaio a Carbonia e Arzachena (qui le date).
Il lavoro risulta già oggi ben strutturato, calibrato in ogni gesto, grazie a quel meccanismo di sottrazione cui Alessandro Serra ci ha abituato negli anni, e possiede la stessa eleganza estetica degli altri spettacoli di Teatropersona.
Se quella di Macbeth è storia feroce, di potere e di morte, quella di Macbettu è vicenda altrettanto brutale, ma l’ambizione, il complotto, la follia, risultano ancor più crudi, ancor più ruvidi. Maggiore asprezza aggiunge la lingua sarda, usata nella variante nuorese. «Abbiamo cominciato le prove in inglese, siamo passati all’italiano, che risultava troppo letterario, e siamo approdati al sardo, scelto perché possiede verità e potenza» – ci racconta Serra in una conversazione telefonica. E se è vero che Giovanni Carroni, attore nuorese che si è occupato della traduzione e della consulenza linguistica, sul palco è quello che mastica meglio la lingua, per ovvia familiarità, e che Maurizio Giordo merita sicuramente una menzione per il pezzo del portiere recitato in sassarese, il gruppo si mostra comunque all’altezza della sfida, capeggiato da un ottimo Leonardo Capuano.
È ardua la scelta fatta da Alessandro Serra, sul piano linguistico ma ancor di più su quello concettuale. Il rischio di cadere nella banalizzazione folklorica è dietro l’angolo. Ma non ci sembra che ciò accada, perché Teatropersona non punta al naturalismo ma all’evocazione, non guarda alla realtà ma al mistero, e, sull’esempio artaudiano, esalta la ritualità. Perciò il riferimento al Carnevale sardo non vuole essere celebrazione dei costumi, ma richiamo ad antichi riti e in questo senso ci appare calzante. Serra intende rintracciare forme archetipiche, superando così confini geografici, e culturali. D’altra parte non sono archetipi i personaggi shakespeariani? E non ha il Carnevale sardo altrettanti elementi archetipici? In Macbettu l’uomo si confronta con la divinità, lotta con le forze della natura, cede all’animalità. Ma non dimentica di confrontarsi con se stesso. In terra di Scozia o in terra di Sardegna, Macbeth resta sempre un piccolo uomo che siede su un piccolo trono, solo una seggiola di paglia per il sovrano che ha nutrito il suo regno col sangue.
Rossella Porcheddu
visto al Teatro Massimo di Cagliari – novembre 2016
MACBETTU
di Alessandro Serra
con Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino, Leonardo Tomasi
traduzione in sardo e consulenza linguistica Giovanni Carroni
collaborazione ai movimenti di scena Chiara Michelini
regia, scene, luci, costumi Alessandro Serra
produzione Teatropersona, Sardegna Teatro
Con il sostegno di Regione Toscana Sistema regionale dello spettacolo dal vivo, Cedac Circuito Regionale Sardegna