Risorgi di Duccio Camerini è una tragedia contemporanea ambientata nella periferia del mondo, tra gli ultimi. In scena al Teatro Piccolo Eliseo. Recensione
Una crisi economica la cui stagnazione perdura ormai da dieci anni, la netta involuzione delle pratiche annesse allo stato sociale, le sirene di un impoverimento massiccio del famoso ceto medio, le periferie delle grandi città che tornano ad essere slum pre-boom economico, ecco, tutto ciò dovrebbe pur trovare modo di salire sul palcoscenico. Agli artisti spetta l’arduo compito di trovare i codici. Non c’è da stupirsi dunque se c’è anche chi tenta un percorso drammatico che quasi ricalca l’impianto tragico classico. Duccio Camerini per raccontare la storia di Risorgi avrebbe potuto scegliere la forma del monologo oppure un dispositivo epico corale, invece si affida al dialogo, alla tensione drammatica, con tanto di epilogo come accade in certe pièce di Shakespeare. Eppure a esclusione di pochi momenti, questa sorta di baraccopoli teatrale rimane in piedi, con difficoltà, ma anche con grande coraggio. La baraccopoli d’altronde non è solo l’immagine di qualcosa di pericolante, non finito, ma è proprio quella periferia della vita che per accumulo raccoglie personaggi e storie.
Camerini accerchia il pubblico, da subito ne occupa lo spazio (nonostante la sala del Piccolo Eliseo poco si presti a una relazione del genere), fa di tutto per farlo entrare in questa sorta di fumettone grossolanamente disegnato. Ma la relazione con la platea non è legata a una cambiale in bianco firmata sui fogli di una convenzione teatrale desueta, il patto è legato alla responsabilità individuale: spettatori, è inutile che chiudiate gli occhi, questi mostri li vedete tutti i giorni. Vi siedono accanto su metrò prendendo la parola in maniera inattesa, racimolano qualche euro per l’ennesima dose, fanno l’elemosina mostrando moncherini o deformazioni. Sono loro i protagonisti dello scenario devastato in replica fino a domenica nella sala piccola di via Nazionale e poi al Teatro Tor Bella Monaca; abitano una sorta di magazzino – il palco è occupato da spazzatura, tubi Innocenti, bottiglie di alcolici vuoti, un divano distrutto. È un deposito abbandonato, trasformato da Marika – travestito di mezza età interpretato dallo stesso autore e regista – in una vera e propria corte dei miracoli, una sorta di industria dell’accattonaggio mandata avanti da chi è ai margini. Marika ha tolto dalla strada handicappati, storpi e minorati mettendo in piedi un business dell’elemosina; vorrebbe cambiare sesso ma non ha il coraggio di dirlo al figlio (un rumeno adottato interpretato da Simone Bobini).
L’imprenditore a un certo punto si trova privato della principale materia prima della propria industria, tanto ricercata perché quasi in grado di generare pietà. I “cionchi” – così vengono chiamati nello spettacolo i disabili come in certi quartieri romani quando il cinismo abbraccia ironia e un pizzico di cattiveria gratuita – sono stati rapiti, deportati in massa da qualcun altro che poi scopriremo essere un certo Lato Destro (Marco Damiano Minandri), chiamato così per il fatto che dopo un incidente il lato destro del corpo è l’unico funzionante, sfruttato anch’egli da Marika e ora alla ricerca di vendetta. Sullo sfondo gang di nigeriani, gruppi di fascisti, campi rom, prostitute e tossici, un coacervo di tristezza, violenza e disumanità pronto a scoppiare. Aggiungete anche un mezzo ritardato, Mongo (Ciro Carlo Fico), che poi altro non è che un fool con una funzione di commento; un poliziotto sotto copertura (Barnaba Bonafaccia, agilità e destrezza da sensei ed emotività misurata), esperto di arti marziali che si innamorerà del giovane concubino di Marika (Dario Guidi) e il quadro, esagerato e bulimico, si comporrà in tutta la sua densità, scandito dall’ambiente sonoro creato dal vivo da Matteo Colasanti. A farlo coagulare in grottesca carnalità interviene la parlata romana; quel non-dialetto in questo caso neanche abbellito dal glorioso passato del sottoproletariato pasoliniano, una lingua dura che schiocca come una frusta, appositamente tagliata per far male al punto giusto, dove anche l’ironia è l’altra faccia della stessa arma.
Torna in mente non solo l’Opera da tre soldi, ma anche quel gioiello di disgrazie di Wim Wenders che era The Million Dollar Hotel; Camerini però da una parte spinge l’acceleratore su una trama che sia risolutiva ed emblematica delle urgenze tematiche, dall’altra crea una relazione con il pubblico fatta di prossimità e strappi. Come quello iniziale nella recitazione convincente e intensa di Marika De Chiara che interpreta una giovane donna caduta in disgrazia tra problemi psichici e droghe pesanti. A questo affresco delirante e coraggioso perdoniamo anche gli eccessi, la recitazione talvolta parossistica e la lunghezza forse eccessiva, in virtù di un quadro generale originale e senza pietà in grado di colpire il pubblico; presenza, quest’ultima, sempre tenuta in considerazione come testimone silente e disarmato di un mondo alla rovina.
Andrea Pocosgnich
Fino all’11 dicembre 2016, Teatro Eliseo, Roma
13 – 18 dicembre Teatro Tor Bella Monaca
RISORGI
scritto e diretto da Duccio Camerini
con (in ordine alfabetico)
Simone Bobini | Barnaba Bonafaccia | Duccio Camerini | Marika De Chiara | Ciro Carlo Fico | Dario Guidi | Igor Mattei | Marco Damiano Minandri | Cristina Pedetta
Regia di Duccio Camerini
Musiche dal vivo Matteo Colasanti
Scene e costumi Nika Campisi
Ufficio stampa Monica Brizzi
Lo spettacolo è stato allestito con il sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia e dell’Università degli Studi Roma Tre.