Per Trend – Nuove frontiere della scena britannica, il debutto nazionale di A Girl is a Half-Formed Thing di Eimear McBride, mise en espace curata da Elena Arvigo e Giuliano Scarpinato. Recensione
A Roma c’è una rassegna diversa da tutte le altre, Trend, che da quindici edizioni si occupa di far attraversare la Manica al meglio della drammaturgia britannica ultracontemporanea. Dietro c’è Rodolfo di Giammarco, giornalista e critico de La Repubblica e grande appassionato del teatro prodotto in quell’isola dove la scrittura per la scena non ha mai smesso di essere terreno di sperimentazione. Mentre qui in Italia si avvicendavano i teatri immagine, i teatri di poesia, i teatri visuali e i narratori, in Gran Bretagna e Irlanda fiorivano drammaturghi puri ed esperienze di messinscena e programmazione più o meno indipendenti attorno alla pagina scritta.
Assiduo frequentatore di festival internazionali e ormai un habitué dell’Edinburgh Fringe, di Giammarco ha negli anni fatto di tutto per conservare intatta la natura di questo progetto: contro ogni avversità economica e gestionale il piccolo palco del Teatro Belli a Trastevere ha visto artisti e compagnie da tutta Italia chiamate a misurarsi con testi appena tradotti, molti dei quali presentati in prima nazionale.
In tempi di vacche magre, questa e altre manifestazioni – continuamente minacciate dalla consueta giostra dei bandi pubblici – hanno dovuto accontentarsi del formato mise en espace, non sempre foriera di risultati all’altezza delle aspettative. Per conferire infatti cittadinanza completa a questa creatura ibrida occorrono non solo un testo solido e una solida interpretazione, ma soprattutto un’idea di “messa nello spazio”, appunto, in grado di fare di necessità virtù. Ma si sa, per i nostri teatranti di oggi trovare soluzioni senza praticamente alcun mezzo a disposizione è diventato un’arte.
Ci è riuscito ampiamente il sodalizio tra Elena Arvigo e Giuliano Scarpinato, che ha firmato con grande grazia un arduo lavoro come quello su A Girl is a Half-Formed Thing, adattamento teatrale di Annie Ryan dal libro omonimo di Eimear McBride, vero e proprio caso letterario che, dall’Irlanda, è salpato anche oltreoceano raccogliendo premi e conquistando colonne importanti come quella di The New Yorker, che nel settembre 2014 gli dedicava una generosa apertura firmata dal critico James Wood. La prosa di McBride, al suo debutto nella forma romanzo, deve molto – e lo dichiara l’autrice stessa – a quel flusso di coscienza à la Joyce e Woolf, in grado di bucare la corteccia ruvida di una vicenda famigliare fino a far uscire il sangue del male di vivere.
L’adattamento di Ryan, al debutto lo scorso inverno sui palchi dello Young Vic di Londra, pur ben tradotto da Natalia di Giammarco, è costato un denso processo di montaggio, per via – dicono i registi – di certi riferimenti quasi segreti all’opera originaria, non sempre di facile decodifica.
Se Trend svolge un importante lavoro di ricerca sui testi e di offerta di spazi, le “nuove frontiere della scena” possono essere raggiunte solo grazie a una scommessa di produzione e circuitazione, che esperimenti come questo meritano in pieno.
Nella visione scenografica di Alessandro Di Cola, il palco del Belli è sormontato da uno stormo di borsalini appesi a fili invisibili ed è ricoperto da uno strato di terra, dal quale emergono, come piccoli relitti, oggetti sparsi come valigie e pezzi di corda e svettano leggii di ferro dai quali Elena Arvigo leggerà alcuni passi del testo. Ma nella prima scena e nell’ultima la troviamo rannicchiata al centro, manda il monologo a memoria, si guarda intorno nella cupa penombra, sgrana gli enormi occhi quasi a cercare lo spazio adatto per un racconto così orribile.
Lo stile della scrittura – specchio dell’afasia del ricordo – è l’ostacolo più impervio: le frasi si spezzano, i piani temporali si sovrappongono, non c’è quasi coerenza tra la narrazione della vicenda clinica di un fratello minore stroncato da un tumore e il tentativo disperato di sopravvivere al lutto. Intorno alla protagonista, come fantasmi inquieti, vagano una madre bigotta, uno zio orco, un padre fuggito chissà dove e tutta una meschina popolazione sub-urbana, pronta ad aggredire e a stuprare un’anima talmente frantumata (a half-formed thing) da non distinguere più una carezza da un pugno, un gesto consolatorio da una bieca sopraffazione.
Passando vertiginosamente dalla seconda persona rivolta al fratello alla terza persona femminile che identifica la madre, Arvigo entra ed esce dal racconto, mette in gioco una presenza intera e fragile, combattiva e arrendevole, nevrotica e paziente. Nel comporre, respiro dopo respiro, un disturbante e commovente ritratto graffiato, questa grande attrice – sorretta con polso fermo dall’occhio esterno di Scarpinato – muove una drammaturgia fisica fatta di sguardi e micro movimenti, lanciandosi da un leggio all’altro come se cercasse chissà quali risposte. Ma il finale somiglia tanto all’inizio, il dialogo tra pieno e vuoto pende pericolosamente sul secondo soggetto: come se fosse la vita a far parte della morte e non il contrario. E, sarà questo freddo dicembre, ma al momento di alzarsi dalla poltrona, anche la temperatura corporea sembrava aver perso qualche grado.
Sergio Lo Gatto
Trend – Nuove frontiere della scena britannica
Roma, Teatro Belli – dicembre 2016
A GIRL IS A HALF-FORMED THING
di Eimear McBride
adattamento Annie Ryan
traduzione Natalia di Giammarco
con Elena Arvigo
scenografie Alessandro Di Cola
a cura di Giuliano Scarpinato e Elena Arvigo
produzione Teatro de Gli Incamminati