A L’Aquila apre un nuovo spazio: Il Container, che per opera dell’associazione Animammersa recupera un residuo dell’emergenza post sisma del 2009. Per due giorni in scena Andrea Adriatico con Biglietti da camere separate
Controvento. Controcorrente. Contro tutto è l’arte quando si riconosce in una rivolta gridata o silente che sia. E se violento è lo schianto, quando un destino di distruzione si prende i luoghi, la memoria, la vita, a tal punto l’azione minuta può ergersi a vento fragoroso che inverta la direzione della spira, torni memoria, torni vita.
E allora mentre la terra ancora trema nell’Italia dell’edilizia sui generis, la città simbolo della peggiore azione di Protezione Civile dalla sua nascita fino a oggi, L’Aquila, torna a far vivere i propri luoghi attraverso proprio l’arte, attraverso cioè la capacità della popolazione di incatenarsi in una società umana, assicurare il proprio futuro a un gesto di solidarietà che superi le barriere di burocrazia e autorizzazioni.
Il Container – ci dice Rita Biamonti, una delle animatrici di Animammersa – era uno spazio utilizzato nei primi tempi del terremoto: «aperto nel 2009 all’interno del Parco di Collemaggio che ospita l’ex ospedale psichiatrico per consentire lo svolgimento del lavoro agli psicologi, quando nel 2013 questi furono ricollocati lo spazio fu dismesso. La nostra associazione non aveva una sede, così abbiamo fatto richiesta alla ASL di poterlo utilizzare e dopo un anno ci è stato consentito. L’abbiamo sistemato, dipinto, l’abbiamo reso accogliente per farci stare uno spettacolo e la gente che viene a vederlo».
Il progetto poggia sulla base di attività svolte negli ultimi anni, nate con il proposito di condivisione e per promuovere la nuova conformazione del tessuto culturale aquilano. Se il Festival Confini – che si svolge in luglio e conta due edizioni – sa coinvolgere insieme artisti da fuori città e giovani aquilani che tentano le varie forme di street art, da segnalare è anche Officina Futuro, dedicato alle donne, chiamate a comporre un pensiero per il futuro di L’Aquila, seguendo l’idea che «non fosse più tempo per parlare, ma per immaginare». Ma forse il maggiore impegno è stata l’ideazione del contest Mettiamoci una pezza, nel 2011, una chiamata a un’opera d’arte collettiva per ricoprire di maglia colorata il centro storico distrutto: «sono arrivate 5000 opere da tutto il mondo, per ridare colore a tutto ciò che avevamo perduto e che era ridotto all’abbandono; pali della luce, panchine, alberi, tutto tornava a splendere davanti agli occhi». Una chiamata alla bellezza, dunque, la stessa che porta oggi all’inaugurazione dello spazio con un’opera simbolica di un regista aquilano che in 25 anni di carriera non ha mai rappresentato i propri spettacoli in città: Andrea Adriatico, direttore artistico e regista di Teatri di Vita a Bologna, porta in scena Biglietti da camere separate, titolo dedicato a quel grande scrittore prematuramente scomparso che fu Pier Vittorio Tondelli, il cui libro divenuto poi di culto – Altri libertini – nel 1980 fu giudicato immorale dalla censura proprio dal tribunale di L’Aquila.
Sembra semplice e ricco di un futuro radioso, detto in questo modo. Ma non lo è. Là dove un’associazione culturale dà vita a un progetto c’è un giro fantasioso di documenti, di norme, di tasse che rischiano – rischieranno – di svuotare i tentativi, anche i più caparbi. È per questo che un’azione del genere meriterebbe un sostegno unilaterale e condiviso, fuori da regolamentazioni sistematiche, perché non ci troviamo di fronte a un processo d’impresa privata ma siamo nel campo di un’impresa che riconosce il proprio processo proprio per causa della privazione. Quindi la sua necessità è endemica, sepolta sotto le ceneri di una città ridotta a spettro di sé stessa.
Simone Nebbia