Il Ratto d’Europa di Giorgio Barberio Corsetti affronta per Romaeuropa Festival 2016 il degrado della società europea. Recensione
La storicizzazione teatrale poggia su canonizzazioni antiche, le cui categorie il Novecento ha via via ripensato e riordinato, ma c’è da qualche anno il tentativo di includere nel tempio della conoscenza anche chi ha interpretato l’innovazione dei linguaggi e ha tradotto le forme in una vivacità espressiva. Si tratta tuttavia, per i primi, di protagonisti che non possono mutare il corso della propria carriera – al massimo si potrà ammettere il diverso segno che la loro opera saprà lasciare nelle diverse epoche – per i secondi invece si corre il rischio di ancorare quanto realizzato a una cristallizzazione che, loro malgrado, non avevano previsto né scelto. C’è tra questi Giorgio Barberio Corsetti, di cui sapere a un breve esamino di nozioni sul teatro di fine secolo almeno quella sperimentazione tecnologica operata con Studio Azzurro, il cui portato maggiore è dato dall’uso teatrale del chroma key su vasta scala (fino poi nell’opera lirica che dirige con successo da molti anni).
Questa crescente valorizzazione della storia nella figura dei protagonisti, tuttavia, se da un lato li promuove e li inserisce ai piani alti dell’ambiente culturale internazionale, dall’altro gli consegna la sofferenza di saper dire sempre qualcosa di buono. O, almeno, qualcosa. Ma ciò non accade con eccessiva frequenza.
Il Ratto d’Europa affonda nel mito in cui oggi è fin troppo semplice riconoscere stimoli perché sia sviluppato il carattere contemporaneo del Continente, la sua sofferenza, la caducità del progresso cui sembra rispondere con una sterilità imprevista. Già per Esiodo Europa è sorella di Asia, ma sarà la sua unione con Zeus a tradurre la divinizzazione della Grecia pagana come culla della civiltà occidentale. Corsetti, per il Romaeuropa Festival 2016, raccoglie il lascito esemplare e interroga il mito al confronto con il contemporaneo di Europa, animata da lotte intestine, incapace d’accoglienza, regredita in una forma sociale aggressiva e renitente all’evoluzione.
Ma per farlo si avvale delle più avanzate tecnologie in seno al Laboratorio di fisica nucleare INFN: la rete dell’Università e della Ricerca a banda ultralarga GARR, grazie alla quale mette in comunicazione luoghi diversi nello stesso momento, in questo caso il Palazzo Altemps e l’aula ottagona delle Terme di Diocleziano, entrambi con il pubblico che può assistere a una parte dell’opera dal vivo e l’altra in videoproiezione live.
Sono quattro gli attori che si cercano con lo sguardo tra uno schermo e l’altro: Gabriele Benedetti incarna l’opera, ne è istrionico narratore interno e si concede alcuni collegamenti di giuntura – differiti – dal laboratorio di fisica; Maddalena Crippa fluttua sulle parole e carica su di sé il pathos e il fatalismo dell’eroina; Gabriele Portoghese da Giasone agli altri personaggi è frastornato e in balia di eventi più grandi di lui; Valeria Almerighi è una coscienza sotterranea, spettano a lei i raccordi e le finestre su alcuni mondi altrove che diano connotati d’opposizione alla drammaturgia. La loro interpretazione si carica di eccessi, cercano di sopperire a un testo – da Seneca, Bhagavadgītā, Alex Barchiesi, lo stesso Corsetti – infarcito di una retorica stanca e a tratti pericolosa, che non si emancipa mai dal produrre frasi come «se tu ascoltassi quel che risuona in fondo alla tua anima», assieme a – detto da Europa al terrorista munito di fucile – «tu pensi davvero di trovare la tua identità facendoti esplodere? Non hai voglia di pace, di famiglia, di figli?».
C’è la sensazione che la drammaturgia sia di servizio, schiacciata dai ritrovati tecnologici, dai quali è compiaciuta; ne consegue una freddezza performativa incapace di concedere accessibilità, sviluppi, crescita. La secca di desideri, di assonanze poetiche, che sconta la portata artistica, impedisce che a certi concetti sia permesso di esplodere in una scena dunque depressa, dislocata, non presente né a Palazzo Altemps, né all’Aula Ottagona, né purtroppo altrove. Corsetti, alfiere italiano di fronte a un esteso panorama internazionale, mostra da un certo tempo – per ciò che almeno è concesso vedere in Italia – una fatica espressiva che attutisce la sua voce e non riesce a porla in un stato paritario con quella di altre arti, invece in dialogo immediato con il contemporaneo. Lo stato dell’arte è al pari con lo stato del degrado europeo? A giudicare da quanto visto su questa scena decorata l’angelo della storia – l’Angelus Novus dipinto da Paul Klee e teorizzato da Walter Benjamin – non muove più le ali e non accenna a voltarsi in avanti.
Simone Nebbia
visto a Roma, Palazzo Altemps – Romaeuropa Festival 2016
IL RATTO D’EUROPA
ideazione e regia di Giorgio Barberio Corsetti
testi Bhagavadgita, Alex Barchiesi, Giorgio Barberio Corsetti
con Maddalena Crippa, Valeria Almerighi,
Gabriele Benedetti, Gabriele Portoghese