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Alda Merini di Fava e Gassmann. L’omaggio non supera l’illustrazione

Alessandro Gassmann dirige Anna Foglietta sul testo di Claudio Fava dedicato a Alda Merini, La pazza della porta accanto. Recensione

Foto Ombretta De Martini
Foto Ombretta De Martini

“Un omaggio alla poetessa dei Navigli”. Cosa si propone il testo di Claudio Fava scritto in onore di Alda Merini, diretto da Alessandro Gassmann con protagonista Anna Foglietta? Emozione scaturita dalla poesia e dal suo inno alla vita, denuncia della situazione manicomiale pre-Basaglia, l’amore dentro il manicomio. Se le premesse sembrano lodevoli, dichiariamolo subito, non ci è sembrato poter dire altrettanto del risultato. Dello spettacolo in scena al Teatro Eliseo ricorderemo la pregevolezza della scena (ideata dallo stesso Gassmann con la collaborazione di Alessandro Chiti): imponente, composta da mura mobili, imbrattate, che riescono a dividere di volta in volta lo spazio quasi a moltiplicare le visioni del manicomio, grate che dal fondo avanzano fino a rinchiudere l’intero quadro scenico, un velatino su cui videoproiezioni e luci (a cura di Marco Schiavoni le prime e Marco Palmieri le seconde) gettano interessanti giochi di ombre, anche in grado di isolare gli attori e conferire loro uno spazio più astratto, intimo.

Foto Ombretta De Martini
Foto Ombretta De Martini

Ma chi abita questo luogo che, secondo battuta pronunciata con intonazione piccata «non è manicomio, ma è definito istituto»? Alla schiera delle recluse i cui nomi sono soltanto una lettera puntata, scopriremo, dalle iniziali battute di due infermiere, che si unirà presto una nuova; «come sarà» chiede l’una, «come vuoi che sia, come tutte le altre», risponde sibillina l’altra lasciandoci, per canonico contrasto, presupporre ben altro. La pazza dalla porta accanto, titolo omonimo di una poesia del 1995 raccolta in Vuoto d’amore, tuttavia, sembra rimanere nella superficie: dei tratti biografici cogliamo soltanto un accenno generale (si racconta dell’internamento voluto dal marito, il coma di tre giorni dopo il primo elettroshock, un atteggiamento in cui emerge nonostante tutto una dedizione alla vita, all’amore). Gli estratti dalle poesie non riescono ad acquisire forza immaginifica che ne giustifichi la presenza drammaturgica oltre l’intermezzo (immancabile Sono nata il ventuno a primavera ma poco altro dell’autrice delle strazianti Lettere al dottor G. a cui pure si fa riferimento nel nome del personaggio del dottore).

Foto Ombretta De Martini
Foto Ombretta De Martini

Anche rispetto alla situazione intollerabile degli ospedali psichiatrici che di lì a due anni – il testo è ambientato nel ’78 – avrebbe raggiunto il primo dei fondamentali passi di sovversione sistemica con l’operato di Franco Basaglia, non emerge una posizione critica (tranne forse per quella battuta citata precedentemente), rimanendo dato giornalistico posto in conclusione, quasi a giustificare la liberazione finale delle internate, con tanto di palloncino-simbolo-di-libertà che vola finalmente verso il soffitto sopra le nostre teste. Dov’è l’orrore per il trattamento inumano? Nella convulsione reiterata a suon di didascalici tamburi, nella testa incassata tra le spalle? L’interpretazione di Anna Foglietta si riduce a una ridotta schiera di tonalità vocali, molto spesso anche al limite dell’udibilità quando non, per contrasto, piene di urlata disperazione appiattita, mentre le altre internate sono poco più che un affresco di caratteri in cui rintracciare alcune delle patologie tipicamente associate al femminile (fino ai primi Novecento). Il rapporto con il dottore o ancora l’incontro con l’internato Pierre, al di là dell’abuso nel citare l’intramontabile Atto II scena 2 di Romeo e Giulietta, regala perle quali «non si tengono per mano quelli come noi», senza riuscire a restituire quella realmente disperata voglia di amare anche ai confini del vivibile.

Arte e follia sono un binomio che spesso ha dato luogo a frutti di pregevole valore artistico e a volte terapeutico, ma in questo caso il lavoro svolto sembra più assumere un carattere illustrativo senza riuscire ad andare oltre la superficie, senza porre l’accento sull’esistenza e le continue permanenze nel manicomio o, ancor meglio, senza condurci in quel viaggio tra «le ombre della sua mente» per cui «se il dolore è esaltazione, allora posso dire che tutto il genere umano è in questo stato e il mio dolore, il mio lutto per la morte della mia coscienza è il dolore di tutta la nostra povera comunità umana».

Viviana Raciti

Visto al teatro Eliseo, fino all’11 dicembre 2016

LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO
di Claudio Fava
con Anna Foglietta
e con Angelo Tosto, Alessandra Costanzo, Sabrina Knaflitz, Liborio Natali, Olga Rossi, Cecilia Di Giuli, Stefania Ugomari Di Blas, Giorgia Boscarino, Gaia Lo Vecchio
Ideazione scenica e regia Alessandro Gassmann
e con la collaborazione di Alessandro Chiti
Costumi Mariano Tufano
Musiche originali Pivio & Aldo De Scalzi
Disegno luci Marco Palmieri
Videografie Marco Schiavoni
Produzione Teatro Stabile di Catania – Teatro Stabile dell’Umbria

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

1 COMMENT

  1. Ah, ecco: Prima di leggere la recensione di Viviana Raciti, mi sentivo anch’io ‘il pazzo della porta accanto’! Dopo aver visto ieri sera lo spettacolo accolto da applausi osannanti e aver letto on line varie recensioni più che positive e non mi ci raccapezzavo più. Mi è sembrato uno spettacolo di maniera, che resta alla superficie dei temi affrontati. I personaggi mi sono sembrati più che stereotipati. Carenze della regia, del testo, degli interpreti? Chissà perché i ‘pazzi’ devono muoversi tutti in modo scimmiesco, avere tutti scatti di aggressività isterica e parlare come se fossero attori ad un provino che devono dimostrare il loro eclettismo vocale!.Il personaggio di Alda sembrava più che alto una persona in preda ai fumi dell’alcol… Mi è sembrato pessimo.

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