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Teatro, pubblico servizio. Paolo Grassi, 1946

Nell’aprile del 1946, quindi circa un anno prima dell’inaugurazione del Piccolo Teatro, dalle colonne dell’Avanti! Paolo Grassi espone la sua idea di Teatro Pubblico.  Questa è l’ultima di una serie di scritti firmati dal giornalista (critico teatrale, amministratore, operatore e dirigente culturale) sul tema della riorganizzazione del teatro di prosa in Italia.

 

Teatro, pubblico servizio

Se vogliamo salvare il nostro teatro di prosa da una lenta morte, è necessario prendere urgenti provvedimenti di ordine strutturale ed economico

grassi_teatropubblicoservizioLa parola «crisi del teatro» è tornata di moda, con insistenza in questi ultimi tempi giornalisti e critici, organizzatori ed attori non fanno che denunciare una situazione economica più che precaria, deficitaria in modo tale da far ritenere che l’anno venturo di questo passo, avremo un’attività teatrale solo a Roma e a Milano, e ridotta ugualmente.
Non esiste compagnia drammatica quest’anno, tolta la compagnia di Renzo Ricci che ha avuto singolare fortuna di organizzazione economica e di giro e di repertorio e di destino infine, che abbia chiuso in attivo il proprio bilancio.
E, se un passivo di poche decine di migliaia di lire può essere irrisorio, un disavanzo di vari milioni, come è avvenuto per alcune formazioni di prosa, assume proporzioni ed aspetti preoccupanti, contro i quali non valgono né le geremiadi dei lavoratori dello spettacolo, né la polemiche gazzettistiche, né la fiducia euforica in «un domani migliore».
È necessario, se vogliamo salvare il teatro di prosa da una catastrofe prossima o da una lenta morte, prendere urgenti provvedimenti in ordine strutturale ed economico.
Le tasse enormi da un lato (circa il 42% sull’incasso lordo), le percentuali d’affitto dei teatri dall’altro sono le principali ragioni del deficit attuale. Noi non sindachiamo se tasse e percentuali siano proporzionate o no, giuste o meno, eque o eccessive: vogliamo solamente «accettare» questo stato di cose e suggerire gli immediati rimedi ad una condizione di disagio oggi, rovinosa domani. Infatti, per coloro che facilmente potrebbero accusare di iperbole le nostre affermazioni, noi diciamo: possiamo dichiarare che «il teatro è vivo» quando esso vegeta per le iniezioni finanziarie (non regolari e fisse) di alcuni mecenati e finanziatori? Possiamo dichiarare che «il teatro è vivo» quando esso è apparentemente rigoglioso in Milano e in Roma, mentre città come Genova hanno avuto in tutto l’anno una sola compagnia drammatica, mentre città come Torino hanno ricevuto quattro o cinque compagnie, che a loro volta hanno replicato gli spettacoli solo in casi eccezionali, cambiando cartellone tutte le sere?

da sinistra Paolo Grassi, Bertolt Brech, giorgio Strehler
da sinistra Paolo Grassi, Bertolt Brech, Giorgio Strehler

Ragioni culturali ma soprattutto ragioni economiche tengono lontano il popolo dal teatro, mentre il teatro, per la sua intrinseca sostanza, è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività, mentre il teatro è il miglior strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio, alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che per questo preziosissimo pubblico servizio nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all’attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico ristretto, ridonandolo alla sua vera antica essenza e alle sue larghe funzioni.
Primo fra i problemi che si affacciano imperiosi è il funzionamento dei teatri municipali.
In Italia moltissimi Comuni sono proprietari dei teatri che affittano a gestioni private: citiamo a caso fra i teatri municipali il Lirico di Milano, il Coccia di Novara, il Verdi di Trieste, il Carignano di Torino, il Sociale di Como, il Donizzetti di Bergamo, il Verdi di Pola, l’Argentina di Roma, il Comunale di Bologna, il Regio di Parma e numerosissimi altri.
Si può dire anzi, senza tema di smentita, che quasi tutti i capoluoghi di provincia sono possessori in Italia di altrettanti teatri di proprietà comunale.
Noi invitiamo (e l’abbiamo dichiarato anche nel nostro programma per le elezioni amministrative) le nuove giunte democratiche liberamente elette dai nostri connazionali, a rivedere urgentemente i loro contratti e rapporti con le imprese private cui hanno dato in appalto i locali e a riprendere in gestione diretta queste sale di spettacolo, spesso particolarmente grandi e adorne.
Gestione diretta da parte del Comune del teatro di proprietà comunale significa creazione da parte del Comune di un Consiglio direttivo formato di tecnici e competenti, assistito da un abile segretario amministrativo, che a nome e per conto del comune, e quindi a nome e nell’interesse dei cittadini, regoli l’attività del teatro comunale.

foto www.piccoloteatro.org
foto www.piccoloteatro.org

Primo vantaggio: cessazione della speculazione privata e possibilità di agi economici ben maggiori per le compagnie. Ad esempio il teatro municipale di Milano, anziché il 45% sul netto di tasse, potrà offrire alle compagnie non avendo necessità di guadagno in quanto impresa collettiva tesa all’interesse della collettività, una percentuale del 75% sull’incasso netto di tasse, se non addirittura l’affitto della sala a spese di costo facendo pagare le maschere, il personale, i pompieri, una quota riscaldamento, una quota ammortizzamento eventuali danni, luce, ecc. tutto sommato al massimo di 15.000 lire giornaliere.
Il maggior guadagno offerto alle compagnie determinerebbe immediatamente due risultati: da una parte il maggior respiro finanziario delle compagnie e quindi una più larga possibilità di «allestimenti» di spettacoli complessi, nonché una possibilità di «scelta del repertorio» da parte del teatro comunale che acquisterebbe un diritto di «prelazione» offrendo alle formazioni di prosa incassi maggiori dei teatri a gestione privata.
Inoltre si aprirebbe l’eventualità delle «recite popolari» che normalmente sono ridottissime in quanto esse danneggiano le gestioni, mai le compagnie che dalle «popolari» hanno sempre assicurato il pareggio della paga.
Inoltre, con la gestione municipali dei teatri comunali, si potrebbe, sulla scorta di quanto è stato detto in tal senso in America e in Svizzera, creare la formula dell’abbonamento, che da un lato lega lo spettatore al «suo» teatro e dall’altro garantisce una base economica per la durata degli spettacoli. Infatti nulla osterebbe a creare «abbonamenti a 10 spettacoli» con tessere perforabili di volta in volta e anche cedibili (contemporaneamente sarebbe rilasciato il biglietto del posto numerato), oppure «abbonamenti alle prime», alle «seconde» con sistema scaligero.
Noi pensiamo sia più adatto per i nostri pubblici il primo sistema che non obbliga lo spettatore a determinate date ma gli lascia libertà di scelta.
Questo, in sintesi, il funzionamento dei teatri municipali, prima conquista per un radicale rinnovamento del mondo del nostro spettacolo: aggiungasi la possibilità alternata di concedere il teatro agli spettacoli cosiddetti «sperimentali» che hanno una loro precisa funziona nella fase polemica di un gusto e nella scoperta dei nuovi valori, aggiungasi la possibilità di dare la sala alle cooperative liriche che, in tale situazione di favore, si potrebbero sviluppare e fare buone stagioni liriche di repertorio.
Nulla infine vieta al Consiglio direttivo di creare circoli di cultura teatrale, con sede nei ridotti dei teatri, dove si discutano problemi estetici o specifici del teatro, concorrendo in tal modo alla formazione di competenti e di amatori legati a tutti gli interessi della vita teatrale.
Se quanti hanno legami col teatro, di qualsiasi natura siano tali legami, se quanti credono nella cultura come in uno dei mezzi più poderosi per l’elevazione del popolo e per lo sviluppo della società verso forme più progressive, si renderanno conto della necessità dei teatri municipali e impegneranno le loro energie per la loro rapida ed esatta attuazione (come è già accaduto per il teatro Goldoni di Venezia), il primo fondamentale passo nel rinnovamento teatrale sarà compiuto.
E per noi, socialisti e teatranti, resterà la soddisfazione di aver posto primi la premessa dell’urgente problema che vorremmo non fosse nostro soltanto ma diventasse di tutti.

Paolo Grassi

(Avanti!, 25 aprile 1946)

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