A Teatri di Vetro in dieci anni è accaduto molto. E anche oggi il festival resiste. E noi insieme. Una riflessione e due recensioni: Socialmente di Frigoproduzioni e Scarabocchi di Teatro Rebis
Oggi mi sveglio e scrivo, l’ho promesso a Roberta. Roberta intendo Nicolai, che cerca di proteggere la fragilità dei suoi Teatri di Vetro da dieci anni, da festeggiare tra poco al MACRO di Via Nizza insieme a un’intera generazione artistica che ci è cresciuta dentro. Ma non le devo la mia scrittura, non sarà qui a controllare come scrivo e se scrivo, a lei devo una restituzione intellettuale dell’attività cui come tanti ha sacrificato le scelte e le aspirazioni, uno specchio della stessa fragile anima di cui è fatto il suo vetro, che solo a guardarci, certe volte, si apre una crepa nel mezzo. È così, l’arte che andiamo fieri di immaginare, di raccontare, verbi all’infinito perché infinito è quello che ci finisce dentro, e che poi tanto si somigliano.
Al Centrale Preneste ci arriva un Teatri di Vetro itinerante in giro per la città, com’è da qualche anno disperso tra varie assi di palcoscenico, privo di quel Teatro Palladium e dei lotti della Garbatella che sono stati casa e il motivo stesso della propria origine. Ma non ci formalizziamo, lasciamo che il tempo ci metta pressione; lo spazio reagisce, la geografia si trasforma, noi ci prendiamo cura delle case che ci portiamo dietro, come fanno certi eroici animali, lenti perché in ogni passo, ogni movimento, si può perdere tutto.
C’è un surrogato di divano, sulla scena. E un televisore di spalle alle platea. Un ragazzo e una ragazza si sostengono l’uno all’altra, se uno si toglie l’altro cade, guardano immagini che non vediamo ma di cui possiamo intuire la consistenza, sotto la luce catodica dello schermo che è l’unico sostegno visivo nel semibuio. La loro espressione sembra avere la stessa natura delle immagini nascoste dalla plastica verniciata lilla della tv, l’attenzione che mostrano è priva di intelligenza, non a caso quegli occhi finiranno presto in un antro laterale ricavato da un frigorifero, dipinto di blu e con il logo Facebook, cui andranno a riservare ogni “uscita” dalla stanza e “ingresso” nel mondo virtuale. Francesco Alberici e Claudia Marsicano, Frigoproduzioni, con Socialmente sono al loro primo lavoro ma già mostrano una volontà ben precisa di indagine sulla società contemporanea, per farlo usano modalità teatrali già ben sviluppate, i loro dialoghi alternano parole e silenzio con precisione, hanno cura della scena e dell’evoluzione drammaturgica, più di tutto non si ergono a paladini della verità, come avrebbero potuto a considerare i temi, ma restringono le cose da dire alla concretezza di un’intenzione che il teatro potrà agire e svolgere secondo la relazione con chi vi assiste. Come si è trasformata l’alienazione nell’epoca in cui ha investito ogni spazio sociale o privato? Un tempo era un sentore nascente che minava la società da dentro, ora è un sentimento a tal punto compenetrato da rifuggire ogni differenza: è la società stessa, l’alienazione, dalla quale l’uomo non può tirarsi fuori. Alberici/Marsicano indagano proprio questo interstizio sottile tra rassegnazione e propulsione, al fine di rintracciare l’entità uomo nella dispersa, disperata, umanità.
E proprio dell’uomo si occupa Teatro Rebis, portando in scena gli Scarabocchi firmati dal talento corrosivo di Maicol&Mirco. La compagnia di Macerata (dove aveva un teatro che ora non ha più), nota per gli impianti visivi e una ricerca di relazione tra espressione ed estetica, affida a una struttura minimale abitata da tre attori una drammaturgia composta tra le oltre duemila vignette realizzate. Ma non si tratta di un collage, quello firmato da Andrea Fazzini è un testo che sfrutta delle vignette il carattere espressivo, ironico, talvolta caustico, e lo veicola in una forma perimetrale più ampia, capace di indagare l’esistenza proprio in quelle intercapedini di senso che rendono giustizia e luce agli angoli bui del pensiero, delle azioni, dell’esperienza umana. È così che i tre attori Meri Bracalente, Sergio Licatalosi e Fernando Micucci si caricano l’umorismo rabbioso sul corpo pressoché stilizzato di tre personaggi che sembrano sviluppare uno spessore proprio a partire dalla linea del fumetto, giungendo all’effetto comico tramite il teatro, dunque, che del corpo non può fare a meno. “Fuori l’uomo dalla storia”, uno striscione sul palco a fine spettacolo, è la fine anche della storia stessa, se priva di ironia. Della quale invece si fanno portatori sani gli artisti, primi per fantasia, quelli che sanno vedere un luogo dove non c’è spazio, che sanno dare corpo intero a un gesto appena accennato, quelli che sanno tenere il polso del mondo in uno rettangolo di pochi metri, dove il buio è la luce, dove il Vetro è il più resistente materiale del mondo.
Capito, Roberta?
Simone Nebbia
Teatri di Vetro – settembre 2016
SOCIALMENTE
ideazione e regia Francesco Alberici e Claudia Marsicano
drammaturgia Francesco Alberici
assistente alla regia Daniele Turconi
interpreti Francesco Alberici e Claudia Marsicano
produzione FRIGOPRODUZIONI e Borsa Anna Pancirolli
SCARABOCCHI
di maicol&mirco
con Meri Bracalente, Sergio Licatalosi, Fernando Micucci
scenografie Cifone
musiche Maestro MAT64
drammaturgia e regia Andrea Fazzini
una produzione di Teatro Rebis e maicol&mirco
in collaborazione con Borgofuturo Festival, Ratatà Festival, Associazione Demetra/Centro di Palmetta, Comune di San Ginesio, Comune di Grottammare
[…] «È un testo che sfrutta delle vignette il carattere espressivo, ironico, talvolta caustico, e lo veicola in una forma perimetrale più ampia, capace di indagare l’esistenza proprio in quelle intercapedini di senso che rendono giustizia e luce agli angoli bui del pensiero, delle azioni, dell’esperienza umana.» https://www.teatroecritica.net/2016/10/teatri-di-vetro-larte-e-la-fragilita/# […]