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Senza titolo per uno sconosciuto. gruppo nanou e il paradosso della carne

A Teatri di Vetro gruppo nanou presenta in prima nazionale la coreografia Senza titolo per uno sconosciuto. Recensione

Foto www.grupponanou.it
Foto www.grupponanou.it

Nell’ambito della decima edizione di Teatri di Vetro, gruppo nanou ha presentato la nuova creazione Senza titolo per uno sconosciuto. Dopo averli visti interagire a breve distanza dal pubblico nello spazio intimo di Grotta Stacchini insieme alla musica dal vivo dei Ronin allo scorso festival di Santarcangelo, qui la compagnia dispiega la propria poetica coreografica sul grande palcoscenico del Teatro Vascello con una produzione che mette in discussione la corporeità organica attraverso la danza.

Nonostante una condizione di rappresentazione canonica frontale, nello spettacolo sembra comunque restare l’eco di una dimensione installativa, come se le luci illuminassero una pratica che aveva avuto inizio molto prima e che avrà fine, forse, parecchio tempo dopo. Nel segmento cui ci è dato assistere, tre corpi abitano e disabitano lo spazio partecipando a una pratica di estensione del tempo. Diversi sono i fattori che giocano con un profondo senso di immutabilità la cui ragione è da ricercarsi, probabilmente, nella stabilità dell’organizzazione dello spazio e nell’intenzione che muove questo spettacolo: il tentativo deleuziano di disincarnare il corpo privandolo di quell’elemento organico che lo costringe in un ritmo fatto di fasi e di alternanze. Qui, invece, la ricerca punta al disfacimento, alla sparizione, a un’ontologica assenza di desiderio. Di fatto, assistiamo allo studio di un’umanità altra che la filosofia già da tempo ha messo in conto e che la danza, per sua natura, non può indagare se non attraverso un paradosso.

Foto www.frupponanou.it
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Al centro della scena, una serie di strisce bianche orizzontali offre un’unica variazione all’interno di una scatola nera dentro la quale i danzatori ambiscono a muoversi come scotomi, deresponsabilizzati della propria unicità identitaria ed espressiva. Desideroso di disperdere la propria costituzione materiale, gruppo nanou affida al movimento la conclusione di quel dispiegamento di forze volontarie e involontarie, tutte interiori, che regola la dimensione vivente dell’essere, come se la vita organica potesse trovare fine e non solo inizio nel movimento, nella danza. La nuova creazione della compagnia ravennate chiede al pubblico di dismettere l’idea di un corpo organicamente danzante per andare incontro, forse, a una nuova dimensione molecolare del movimento e della danza che però al corpo continua ad appartenere. Si tratta di «un esercizio difficilissimo», come la stessa compagnia scrive nella presentazione del progetto, un esercizio che consegna allo spettatore qualche dubbio originato dalla forma assertiva della proposta. Volendo somigliare nella forma a un esperimento riuscito, lo spettacolo sembra non volersi prendere carico del dubbio logico che comunque lascia intravedere.

Dalla scena si percepisce il desiderio di sfidare la natura, in un duello impossibile tra corpi anatomici e corpi atomici, corpi-spazio-tempo disgreganti poiché disgregati nella loro organicità – dove queste tre nozioni hanno origine l’una nell’altra e tutte insieme generano significati. Così, avvinti in un gioco di danze impossibili, i tre performer scivolano attraverso la scena secondo traiettorie che ricordano un caos materico post Big Bang regolato però nel gesto da un’intensità piana in cui la musica, più del corpo, genera variazioni percettive.

Foto www.grupponanou.it
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In scena si va cercando un’elusione della carne che non può avere luogo se non attraverso una sua rappresentazione che, in quanto tale, manda immediatamente in cortocircuito il proposito iniziale. Nello spettatore, l’equilibro tra la contemplazione di un loop atomico e la domanda, completamente lecita, non tanto di una ricerca di senso quanto della ragione per cui sembrano giacere inascoltati gli sfasamenti, le ipotesi nulle, le impossibilità stesse della proposta, sposta l’assunto di partenza dalla speculazione filosofica alla pratica coreografica generando la possibilità di un paradosso al quale si sottrae, sottraendosi così anche alla ricchezza potenziale dell’accettare un dubbio.

Nella composizione, i corpi tentano di farsi anti-corpi e mettono in scena l’impossibilità di abbandonarsi all’inesistenza che la carne impedisce. Per questo, la distanza tra l’alto proposito di un’indagine filosofica e il risultato scenico si condensa in un unico enunciato chiaro che, rischiando di generare un vuoto di senso, a torto schiaccia il bel potenziale dei corpi danzanti facendoli aderire, se possibile ancora di più, alla loro corporeità.

Proprio osservando la danza emerge il paradosso: la tensione verticale della colonna vertebrale è il centro di contorni vorticosi, di braccia e gambe solide come eliche che spostano volumi secondo dinamiche elicoidali basculanti. Complice una tecnica così radicata da essere naturale, l’attraversamento dei piani spaziali non mette mai in crisi la forma lineare, leggibile, del movimento. E quella tensione verticale e vitale del corpo, che alcune ricorrenti camminate accucciate mettono ancora più in risalto, è sintomo di una dinamica che non disfa la corporeità alla sua radice, ma al contrario ostinatamente, indefessamente, organicamente la produce.
Così Senza titolo per uno sconosciuto è uno spettacolo che, nel tentativo di pensare la sparizione, non sembra ascoltarne l’impossibilità mettendo in scena, invece, l’ostinata apparizione della stessa vita organica, di quella stessa materia pensante che proprio il ragionamento, dall’inizio, consente.

Gaia Clotilde Chernetich

SENZA TITOLO PER UNO SCONOSCIUTO
di Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
con Sissj Bassani, Rhuena Bracci, Marco Maretti
suono Roberto Rettura
assistenti alla coreografia Marta Bellu, Rachele Montis
prodotto da E / gruppo nanou
con il sostegno di L’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino, Cie Twain, La MaMa Umbria International, Cantieri
con il contributo di MIBACT, Regione Emilia-Romagna assessorato alla cultura

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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