Chiudi gli occhi, scritto e diretto da Patrizia Zappa Mulas, è tornato dopo la scorsa stagione sul palcoscenico del Teatro India con gli allievi della Scuola di teatro e perfezionamento professionale del Teatro di Roma. Recensione.
Sei colonne di sedie bianche impilate, in profondità sui due lati della scena scevra di quintatura e spoglia di qualunque altra struttura; su di esse qualche bottiglia di plastica rossa e una caffettiera. Il buio è interrotto dalla’apertura della porta antipanico al fondo con l’ingresso di un uomo, incedere stanco e valigia in mano, che si inscrive nel fascio diagonale del bagliore bianco di un grosso faro a graffiare la vista, colpendone il torpore su una linea melodica facilmente assimilabile a sonorità arabe.
Chiudi gli occhi (menzione speciale al Premio Riccione 2013) è la prima pièce scritta da Patrizia Zappa Mulas, trasposizione di un fatto di cronaca che, dopo la scorsa stagione, torna sul palcoscenico del Teatro India con gli interpreti della Scuola di teatro e perfezionamento professionale del Teatro di Roma in occasione delle manifestazioni per il Giubileo della Misericordia.
Teheran, novembre 2004. Ameneh Bahrami, ventiseienne studentessa universitaria di ingegneria elettronica, respinge la proposta di matrimonio del giovane Majid Movahedi, il quale risponde al rifiuto gettandole addosso una bottiglia di acido solforico. Episodio di troppi mai abbastanza inediti. Irreversibilmente cieca e col volto deturpato, la ragazza inizia una battaglia di ricostruzione fra cure e interventi chirurgici in parallelo ad una crociata giudiziaria volta ad affermare tuttavia il diritto di ottenere una pena equipollente secondo le leggi della Shari’a, a dimostrare che il sopruso contro l’identità e il corpo di una donna vale in Iran come quello di un uomo. Quattro anni dopo il tribunale decreta la medesima sorte per Majid: quaranta gocce dello stesso acido gli saranno versate negli occhi. Numerose proteste di associazioni internazionali, un paio di sospensioni, poi il perdono da parte della donna con relativa perdita dei diritti legali sul condannato e un risarcimento mai pagato.
Tutto si svolge il giorno dell’ ipotetica esecuzione nella sede spagnola di una associazione contro le pene corporali dove tre attivisti e un medico snocciolano l’intera vicenda fra monologhi e dialoghi che andranno via via intrecciandosi alle loro dinamiche personali, senza che mai i protagonisti facciano la loro comparsa.
Il tema è spinoso e si nutre del dubbio che giace al confine tra ricerca di giustizia e bisogno di vendetta, principi globali e specificità culturali; del cruccio di fronte a simili questioni di trovarsi in un limbo valutativo che ottenebra la distinzione netta fra affrancamento e chiusura, conquista e involuzione. Obbiettivo apprezzabile in un’ottica di restituzione non sterile e necessariamente piana del contemporaneo, con un dichiarato riferimento al teatro epico corredato di diluizioni in grado di mettere in luce pure le debolezze comuni dei personaggi, qui narratori ma anche interpreti ordinari delle proprie vite. Ambizioni sfumate in parte nel risultato performativo, che risente di qualche calo retorico, diremmo piuttosto di espressioni di concetti quasi attesi sottolineati da una eccessiva didascalia per le scelte di regia, in primis sull’architettura sonora. Efficaci la costruzione dell’impianto spaziale inteso come sistema dinamico di entrate-uscite e sviluppo delle azioni, e la metafora d’uso delle luci, la cui concezione di alternanza tra l’oscurità e la sua negazione sono centrate e calibrate, seppure di immediata intellegibilità.
Si legge in riferimento al XXX Congresso della SIFD (Società Italiana Filososfia del Diritto): «Limiti del diritto: è una questione essenzialmente filosofica perché qualsiasi elaborazione concettuale dei limiti del diritto include in sé già la riflessione di una differenza, cioè di una delimitazione che rende possibile il concetto del suo oggetto. Limite, infatti, non può restare inaccessibile a se stesso, deve essere determinato, cioè deve essere delimitato anch’esso: è un concetto filosofico […]La realtà del diritto, infatti, è la realtà dei suoi limiti, il risultato della delimitazione dei suoi spazi, del suo concetto, della sua costruzione della rilevanza, cioè delle differenze che sono rese possibili, appunto, dalla delimitazione del diritto. Cittadino, soggetto, straniero, sesso, uomo, donna, ma anche territorio, spazio, unione, sono concetti di limite, ma sono limiti essi stessi».
La prospettiva doppiamente tragica della vittima che si conquista il ruolo di carnefice apre alla volontà, nella tessitura drammaturgica, di rendere un quadro tanto della morale individuale quanto di quella internazionale, soprattutto occidentale, sulla sostenibilità univoca di posizioni di principio.
Marianna Masselli
Visto a Roma, Teatro India, ottobre 2016
CHIUDI GLI OCCHI
scritto e diretto da Patrizia Zappa Mulas
un progetto della Scuola di teatro e perfezionamento professionale del Teatro di Roma
con Paride Cicirello, Vincenzo D’Amato, Alice Spisa, Jacopo Uccella
scene Francesco Zito
costumi Virginia Gentili
assistente alla regia Antonietta Bello
assistente volontario alla regia Stefano Scialanga