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Short Theatre 11. Al centro del villaggio

Short Theatre 11 apre il villaggio che si fa interprete della città. Roma che soffre dalla comunità di artisti assimila e riparte

«È che ci portiamo addosso tutti / la febbre di questo tempo / di farfalle inchiodate / su un pezzo di legno, / di chiacchieroni ubriachi / e ciechi come talpe / in un gomitolo di strade / che non portano da nessuna parte» Lus, Nevio Spadoni

short theatre 11
HM/HOUSE MUSIC di Strasse | Foto Claudia Pajewski

È che una città, un villaggio, sconta la sua malattia nelle piaghe corporali dei suoi abitanti, quella febbre sintomo e vaccino dello stesso male. Roma fu ferita e fa fatica, ma proprio mentre annaspa un ramo in mezzo al suo fiume le consegna un mezzo per navigare, mezzo di fortuna, in mezzo alla fortuna, di esserci nati e di poterci in qualche modo ancora vivere e patire. Roma, chi la anima, chi la ama. Attorno si scatena il delirio del potere e di chi non ce l’ha, logorato già prima di averlo in mano, attorno si sperdono migranti in una deriva che nemmeno il mare attraversato sa conoscere, attorno esplode la Roma isterica e non si cura di quella città semisommersa che è la comunità artistica, sociale, l’insieme delle piccole comunità che la compongono e che ne fanno esperimento civile. Non si cura, Roma, di chi la consiste. E dà riprova, finché resiste, che Roma esiste.

short theatre 11
HM/HOUSE MUSIC di Strasse | Foto Claudia Pajewski

Short Theatre 11 è un villaggio. È la città che torna a essere tribù, il macro che interroga il micro per riavere indietro la mappa smarrita. La tribù degli artisti si concede una volta ancora di farsi interprete della ferita, ci cammina attraverso, preme sui confini dove la pelle è debole, affonda se necessario, dà conto dello stato in cui versa l’organismo città. E allora, negli spazi de La Pelanda a Testaccio, dentro proprio il cuore di questo organismo, Short Theatre, prodotto da Area06 con la direzione artistica di Fabrizio Arcuri, sperimenta una volta ancora la sospensione di luogo e tempo e la loro traduzione in una cellula pulsante, la cui indagine disvela il luogo e il tempo che prossimi sapranno fiorire.
Ma cosa lega l’artigiano di bottega e il viandante straniero coinvolti nello stesso tempo e luogo di un villaggio? La consuetudine, l’uso che sviluppa una continuità di scambio e con essa le briciole lasciate indietro a ritrovare la strada; c’è in un villaggio l’anima pregressa e quella in divenire, una stramba compresenza orizzontale in cui si avverte un pungolo verticale, ciò che noto si perpetua dona gli strumenti per l’ignoto che si crea: il passato, aiuta il presente. E allora l’usanza non è che un mezzo di sviluppo sociale, l’arte un formidabile e assiduo tributo all’evoluzione.

short theatre 11
Lus – Foto Danilo Balducci

Il paese Short ha aperto con un palco in semibuio, una voce e la creazione di un ambiente musicale (di Luigi Ceccarelli e Daniele Roccato) in un dialogo vitale e grezzo, vitale perché grezzo e non ancora raffinato, mai, raffinato, a rabbuiare i lineamenti. Lus è la voce della Bêlda, Ermanna Montanari strega del villaggio è lo spirito che lo attraversa fin dal primo giorno, resterà impresso nelle stanze e nei cunicoli per il tempo a venire; la Bêlda nei versi di Nevio Spadoni attende ognuno degli abitanti, guarisce da mali che non hanno cura e provenienza, nutre di veleno gli abitanti dal sangue più dolce, per succhiarlo e poi sputarlo via. La Bêlda portata qui dal Teatro delle Albe, per la regia di Marco Martinelli, è il simbolo di una candidatura feroce, quella dell’arte come rimedio demoniaco alla depravazione della civiltà.

Bêlda, al centro di questo villaggio. Lus, in fondo alla notte.
Verranno i giorni, saranno dieci fino alla fine, in cui ci sembrerà di dimenticare la sua barbara vocazione di levatrice, altri suoni ci distoglieranno, altre voci parleranno con noi, di noi. Ma in una segreta cripta della chiesa, che sempre determina il nucleo più intimo della storia di una comunità, in quell’antro di spirito sarà custodita la reliquia di una voce incandescente e vitrea, il canto di una profezia stridente combatterà il mutismo delle occasioni fallite, saprà lacerare quella membrana plasmatica in cui s’avvolge Roma e sotto il cui silenzio muore, chi la vive.

Simone Nebbia

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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