Roberto Latini con Amleto+Die Fortinbrasmaschine indaga l’opera shakespeariana alla luce della riscrittura di Heiner Müller. E la fa propria. Recensione
Io non sono Amleto
Non sto al gioco
Non recito più alcun ruolo
Amleto, chi era costui? Cos’è, Amleto? Poveraccio sempre trattato ora da individuo ora da oggetto di dibattito, il personaggio. È un chi o un cosa, Amleto? E lui non aspetta la risposta, esce fuori dal gioco teatrale e non recita: semplicemente è, o così dice, così vorrebbe, ma non si tratta di una trasformazione, non c’è nessuna mutazione possibile per l’eroe tragico, c’è la coscienza dell’impossibile: recitare il finito, interpretare l’uomo, nella propria infinita natura di opera d’arte. Un lavoro al contrario questo Amleto+Die Fortinbrasmaschine che Roberto Latini – a firma Fortebraccio Teatro ma con l’aiuto drammaturgico di Barbara Weigel, visto a Volterra Teatro 2016 – dedica prima a William Shakespeare e al suo personaggio più enigmatico ed emblema di un’idea di teatro, poi ancora a Heiner Müller che dall’opera ha tratto Die Hamletmaschine, la “macchina di Amleto”, alla fine degli anni Settanta. Da quest’ultima trae la struttura in capitoli entro cui far esplodere le luci di Max Mugnai e liberare la potenza compositiva di Gianluca Misiti, autore di musiche in cui è miscelato un suono ora dolce ora sinistro, il piano solo che si fa invadere da sonorità elettroniche indiscrete.
Un cerchio di luce accoglie in mezzo alla scena. Ma chi? Cosa? Questo è il punto. Roberto Latini compone uno spettacolo che affonda nelle intenzioni di Heiner Müller, cerca cioè di utilizzare l’opera del regista tedesco allo stesso modo in cui lui aveva utilizzato Shakespeare, facendone una macchina in grado di essere affermazione del presente, biografia del tempo nell’atto di essere rappresentato. Ecco dunque che il carattere esemplare di Amleto passa nei canoni e si riversa nelle esperienze individuali, assimila del classico gli stilemi e si propone come raffinazione dell’esperienza in termini intellettuali, ma senza mai perdere i confini di una solida e concreta appartenenza. L’opera, la vita.
E cos’è un’opera se non il veicolo – la macchina – per spostarsi da un luogo all’altro dell’evoluzione spirituale dell’individuo? Anche l’anima ha bisogno di un passaggio. E Amleto offriva a Müller le lancette da posizionare nel proprio orologio, perché detonasse il classico, l’esemplare, nella propria contemporaneità.
Fortebraccio è invece il personaggio promesso, sfumato lungo tutto l’arco della vicenda amletica, tuttavia non appare se non appena dopo, quando la morte ha colto Amleto e nella sua storia non c’è più spazio d’azione. C’è, diversamente, da rendergli onore tragico, ma soprattutto è quello il momento in cui si smette la vicenda e inizia la problematizzazione, la macchina, il mito: Amleto diviene l’Amleto, l’indagine conoscitiva può procedere oltre i confini dell’opera e farsi assoluto.
E dunque la Die Fortinbrasmaschine, per la compagnia che da Fortebraccio prende nome, non è altro che la raccolta di un’offerta, la resa di un’eccedenza, ossia quanto – fuoriuscito dall’opera di Müller – sa fornire gli strumenti per indagare sé stessi, il lascito che il proprio teatro ha prodotto, l’afflato con lo stato attuale di questa arte contemporanea.
Ma si spoglia, questo Amleto, anche di sé stesso. Del proprio mito. Egli si riprende un po’ i caratteri che da categoria dispongono un nuovo risoluto accesso nell’uomo. Nell’intensità magnetica delle immagini pittoriche, Latini si erge a paradigma del proprio stesso teatro, lo interroga, lo riduce a marionetta che il filo costringe e manovra, mentre insieme, dall’uso logoro del teatro e dalla convenzione, come un salto oltre tempo, oltre opera, si libera.
Simone Nebbia
Volterra Teatro 2016 – luglio 2016
In scena il 30 settembre al Teatro Vascello di Roma per Le Vie dei Festival 2016
Clicca su un’immagine per aprile la gallery, foto di Fabio Lovino
AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE
di e con Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e tecnica Max Mugnai
drammaturgia Roberto Latini, Barbara Weigel
regia Roberto Latini
movimenti di scena Marco Mencacci, Federico Lepri, Lorenzo Martinelli
organizzazione Nicole Arbelli
foto Fabio Lovino
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
ATER Circuito Regionale Multidisciplinare – Teatro Comunale Laura Betti
Fondazione Orizzonti d’Arte
con il contributo di MiBACT e Regione Emilia-Romagna