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La poesia reclusa di Emily Dickinson

Milena Costanzo presenta a Teatri di Vetro il secondo atto della Trilogia della passione ispirato a la vita e le opere di Emily Dickinson, Emily. No!. Recensione

Foto Paola Codeluppi
Foto Paola Codeluppi

Al momento della sua morte, all’età di 55 anni, Emily Dickinson lasciava nella sua stanza 1775 poesie. Circa sette pubblicate in vita e un materiale immenso chiuso nei cassetti, senza mai uscire dalla casa paterna, morendo così nella propria camera ad Amherst nello stesso luogo nella quale era nata. Morii per la bellezza. Un fantasma tra le proprie mura, ma di una lucidità tale da poter ballare contemporaneamente con la disperazione e con l’ironia di chi è immortale; immagine sognatrice, amante della natura e reclusa per devozione alla parola, ostatica, fotografia color seppia di quella che ad oggi è considerata una tra i maggiori lirici del diciannovesimo secolo.

Alle prese con il secondo atto della Trilogia della ragione, Milena Costanzo, nel contesto della decima edizione del festival Teatri di Vetro, presenta al pubblico romano Emily. No!: uno spettacolo sulla poetessa americana che nega sin dal titolo l’assecondarne i versi nell’enunciazione, il ritratto “grafico”, e tenta invece di ritrovare il filo con il quale Dickinson cucì i bigliettini delle sue poesie. Non svelare, dunque, ma ricucire i rapporti di Emily con il reale e, soprattutto, con l’irreale. Dopo i tre studi e lo spettacolo dedicati alla figura di Anne Sexton e prima di dedicarsi a Simone Weil, Milena Costanzo cala il pubblico del Teatro Vascello nella suggestione della poetessa americana dalla tensione spirituale non canonica e dall’identità assertiva, tenace, la cui «occupazione è amare».

Foto di Paola Codeluppi
Foto di Paola Codeluppi

Che cosa raccontare di quella poesia? Il linguaggio poetico – di natura anti-drammaturgica e difficile da teatralizzare – che fuggiva dall’interno le tradizioni della famiglia borghese viene quindi portato in scena non nella sua parola ma nei mille «No!» di Emily: in quei silenzi, i suoi 1755 versi. Lontanissimo dal reading, dal tributo esatto alla poetessa, Milena Costanzo concentra la visione su quello che è il “piano di sotto” della casa di Emily, ciò su cui la donna poggiava i piedi: una sorella goffa, l’esilarante Winnie (Alessandra De Santis), e una madre grottesca (Rossana Gay) ossessionata dall’immagine del marito defunto, proiettata nell’istrionico fratello di Emily (Alessandro Mor), adulato dalle due donne nella sua presenza/assenza maschile. In un registro ironico e al contempo tragico le tre figure, animali da salotto puritano, gesticolano e innescano l’ambiente soffocante sul quale Emily (Milena Costanzo) aleggia, non si lascia vedere né quasi nominare a lungo per poi apparire eterea, pura e indemoniata, oscillando tra l’immaginario di una donna posseduta e quello di un’essenza poetica. Le apparizioni di Dickinson, girotondi fanciulleschi e intensi versi lirici in controluce, sono scenicamente sovrapposte alla famiglia: Emily non abitava la loro stessa scena, la guardava da fuori. «Come sono sola!».

Foto Paola Codeluppi
Foto Paola Codeluppi

Per gli amanti della poetessa la mancanza nel testo di una buona dose di riferimenti all’immaginario classico potrebbe ridurre la portata dell’opera, eppure a volerne cercare lo stile letterario nell’azione scenica si troverebbero le digressioni enfatiche di Dickinson lì nelle interruzioni drammaturgiche tra la realtà e la parodia critica della stessa, l’uso poco convenzionale delle maiuscole nella vertigine che dà la giostra del salotto puritano abitato dalle apparizioni, i ritmi salmodianti nell’alea mistica di luci e musiche, le rime asimmetriche nelle risate sghembe e le elaborate metafore nei pochi – preziosi, tormentati – versi di Emily.

Dopo averla vista nel 2015 in Lucido di Spregelburd proprio al Teatro Vascello (spettacolo che valse all’attrice, con il collega Roberto Rustioni, il premio Ubu nel 2011) sullo stesso palco la scrittura, la regia e la presenza di Milena Costanzo ne confermano ancora una volta la sottile, umile, potenza evocativa. Raffinato, ironico, sorretto dal ritmo e dal rigore dei quattro interpreti, Emily. No! arriva fin dove il senso si spezza e non rimane che fare propria la suggestione, la musica, come coro gospel in un campo di cotone.

Mi fu dato dagli Dei –
Quando ero bambina –
Ci fanno regali soprattutto – sapete –
Quando siamo piccoli – e nuovi –
Lo tenni nella mano –
Non lo posai mai più –
Non osavo mangiare – o dormire –
Per paura che sparisse –
Se sentivo la parola “ricchi” –
Correndo verso scuola –
Da labbra agli angoli delle vie –
Lottavo con il sorriso.
Ricchi! Ricca semmai ero io –
Che tenevo il nome d’oro –
E l’oro possedevo – in solidi lingotti –
La differenza – mi faceva audace –
[Emily Dickinson, F455 (1862) / J454 (1862)]

Luca Lòtano

Visto al Teatro Vascello, Roma – Teatri di Vetro, settembre 2016

EMILY. NO!
Liberamente tratto dalla vita e le opere di Emily Dickinson
di Milena Costanzo
con Milena Costanzo, Alessandra De Santis, Rossana Gay e Alessandro Mor
assistente alla regia Chiara Senesi
costumi Elena Rossi
organizzazione Antonella Miggiano
ufficio stampa Renata Viola
foto Paola Codeluppi

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Luca Lòtano
Luca Lòtano
Luca Lòtano è giornalista pubblicista e laureato in giurisprudenza con tesi sul giornalismo e sul diritto d’autore nel digitale. Si avvicina al teatro come attore e autore, concedendosi poi la costruzione di uno sguardo critico sulla scena contemporanea. Insegnante di italiano per stranieri (Università per Stranieri di Siena e di Perugia), lavora come docente di italiano L2 in centri di accoglienza per richiedenti asilo politico, all'interno dei quali sviluppa il progetto di sguardo critico e cittadinanza Spettatori Migranti/Attori Sociali; è impegnato in progetti di formazione e creazione scenica per migranti. Dal 2015 fa parte del progetto Radio Ghetto e sempre dal 2015 è redattore presso la testata online Teatro e Critica.

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