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Hu(r)mano, il branco di Marco da Silva Ferreira

Nell’ambito di International Young Makers in Actions a Short Theatre in prima nazionale Hu(r)mano del coreografo Marco da Silva Ferreira. Recensione

Frame dal trailer di Hu(r)mano
Frame dal trailer di Hu(r)mano

Fluttuano come corpi sospinti dallo stesso alito di vento, un’unica entità composta da quattro diramazioni su un tappeto sonoro, beat elettronico e tonalità rarefatte. Sono i quattro danzatori guidati da Marco da Silva Ferreira in Hu(r)mano, selezionato all’interno di Aerowaves 2015 e presentato ora in prima nazionale a Short Theatre all’interno di International Young Makers in Actions, rete e supporto promossa da diversi festival d’Europa per la creazione contemporanea.

Teniamo saldo il pensiero al tema che quest’anno ha caratterizzato l’intero programma del festival romano – ovvero quella consapevolezza di far parte di una comunità da mantenere viva grazie all’agire del singolo che la costituisce – e troveremo una notevole affinità nel lavoro del coreografo portoghese. Partendo dalla dualità tra l’individualità e il gruppo, una «tensione tra l’umano me e l’urbano noi», Ferreira insiste su un dispiegamento di corpi in cui ciascuno acquisisce, pur nella omogeneità di forma, un proprio carattere specifico. Così, se inizialmente i movimenti dei danzatori (tuttavia non sempre fluidi, lasciando scoperto il fianco a una padronanza non paritaria in ogni occasione) assumono una caratterizzazione da automa, intenti a scivolare sul palco mantenendo una rigidità del busto e delle braccia quasi fossero carillon su un piedistallo, lentamente i corpi, alla ricerca di coscienza e capacità di movimento, liberandosi dalla fissità, acquisiscono, diremmo, identità. Il movimento si scompone, si disarticola arto per arto e diviene slancio – apparentemente – scomposto.

Hu(r)mano. Foto di Piotr Jaruga
Hu(r)mano. Foto di José Caldeira

José Caldeira

José Caldeira

Come a disegnare la varietà delle azioni possibili all’interno del gruppo, partendo da un vocabolario di danza urbana, si innescano reazioni che mettono in luce una componente fortemente animale: abbandonando la frontalità si ingaggiano lotte, ci si sfida, ci si accoccola, si prova a costruire una sequenza a catena nella quale bisogna arrivare sempre più in alto dell’altro, scalzandolo, mettendo continuamente alla prova la volontà di stare, di mantenere una posizione nello spazio. In una sequenza nettamente segmentata nel ritmo d’azione i quattro performer (Anaísa Lopes, Duarte Valadares, Vítor Fontes e lo stesso coreografo) compongono una scultura a incastro come a costruire di taglio un paesaggio, umano e urbano assieme, in continua mutazione. A richiamare l’attenzione è spesso il collo, snodato, luogo di assestamento e di partenza del movimento. Emerge su tutti l’unica danzatrice, Anaísa Lopes, ferina e implacabile sul tappeto electro-dance (a cura di Rui Lima e Sérgio Martins) in grado di imporsi nonostante la sua minutezza, paradossalmente quasi stonando per il magnetismo che dalla tensione dello sguardo si riversa su tutto il corpo, su tutti i corpi.

Hu(r)mano. Foto di Piotr Jaruga
Hu(r)mano. Foto di José Caldeira

Con il lento diminuire della luce (efficace la scelta operata da Luís Ribeiro) lo spettacolo raggiunge il proprio climax: il movimento esplode in tutte le direzioni (proprio qui troviamo l’eco del lavoro di Hofesh Shechter, con il quale Ferreira ha appunto lavorato) e la liberazione estatica giunge al suo apice. Il branco urbanizzato e dionisiaco ha i suoi riti, l’azione  si assorbe, così come il suono delle catene e la luce, tanto da  confonderci – da un punto di vista drammaturgico – nella prosecuzione dopo quella che crederemo essere la conclusione. Si riprende a danzare senza che la traccia di quanto accaduto prima rimanga – non la diremmo trasformazione di un processo, ma stacco netto. I volti, finora sempre imperturbabili, acquisiscono emozioni più evidenti, si stirano in sorrisi, ci si abbandona alla presa dell’altro. Tuttavia, ribaltando la prospettiva e dunque incorporando positivamente il rischio che questa scelta porta con sé, Hu(r)mano sembra sostenere che una comunità costituita, con tutte le sue logiche di forza e potere, non trova, non deve trovare la sua conclusione nemmeno quando sembra che sia tutto finito. Perché chi venga dopo di noi trovi ancora il villaggio vivo.

Viviana Raciti

HU(R)MANO
regia e coreografia Marco da Silva Ferreira
assistente alla regia Mara Andrade
con Anaísa Lopes, Duarte Valadares, Marco da Silva Ferreira, Vítor Fontes
direzione tecnica e disegno luci Wilma Moutinho
luci Luís Ribeiro
musica Rui Lima e Sérgio Martins
produzione esecutiva Marco da Silva Ferreira e Célia Machado
produzione Pensamento Avulso, associação de artes performativas
coproduzione Teatro Municipal do Porto, Materiais Diversos
partner Jazzy Dance Studio, Feira Viva, O Espaço do Tempo, Teatro Virgínia e Quinta do Rio
finanziato da Governo de Portugal/Secretaria de Estado da Cultura/Direção Geral das Artes
con il supporto di Aerowaves Priority Companies 2015
foto Piotr Jaruga

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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