Il ciclo completo degli Accidentes Gloriosos di Rosabella Teatro apre all’India la stagione del Teatro di Roma. Qualche riflessione sull’operazione.
Sono passati più di tre anni dalla prima apparizione degli Accidentes Gloriosos di Giulio Stasi / Rosabella Teatro. Si era a Teatri di Vetro (quest’anno al Vascello dal 14 settembre al 22 ottobre), un festival romano che oggi ancora resiste ma che è stato sradicato suo malgrado dal contesto originario (il quartiere Garbatella) perdendo, in un certo senso, l’occasione di parlare da vicino a una comunità. In quella cornice erano state presentate alcune delle performance che oggi compongono una eptalogia – le avevamo raccontate qui – e che tornano, in una forma diversa ad aprire la stagione del Teatro di Roma.
Dal 2 al 7 settembre gli spazi rinnovati (anche se ancora non del tutto pronti a essere abitati) del Teatro India hanno ospitato un complesso percorso, un viaggio attraverso i vari ambienti tematici e segnici che circondano le singole azioni performative.
Gli Accidentes Gloriosos sperimentano ciascuno un diverso modulo di fruizione, ma il filo rosso che li unisce è una spessa base testuale, consegnata negli «script» firmati da Stasi insieme all’argentino Mauro Andrizzi e lo svedese Marcus Lindeen. Il concetto sembra essere quello dell’accidente, forte della sua semantica prismatica, che raccoglie da un lato l’immagine dell’incidente, dall’altro quella dell’evento improvviso. In ogni caso è qualcosa che frattura, una consapevolezza che irrompe e dichiara, che giunge a chiarire un sentire o a rendere invece nebulosa una certezza.
Come nell’Accidente 3, Torre Animal, che, ancora alla luce del sole, accoglie gli spettatori in un cortile nascosto dove passeggiano un asino e due capre: un tempo definito non c’è, ma c’è l’indicazione di soffermarsi, di cercare, di abitare. Ogni spettatore è autorizzato a prendere una lettera: buste dell’air mail statunitense, grafie ora curate ora sfilacciate, indirizzi italiani e stranieri; gli spettatori siedono sulle panchine, accarezzano gli animali, leggono in silenzio la lettera che il caso ha recapitato loro; in diffusione una voce racconta di quella volta che, passando in macchina sulla statale, il guidatore e il suo passeggero avevano visto una capra attraversare la strada sulla schiena di un asinello.
C’è poi l’Accidente 2, Glory Holes, che convoca lo spettatore in una sala buia, al di qua di un tubo, di fronte a un faro a led che nasconderà nel controluce il volto dell’attrice incaricata di consegnare il monologo. I glory holes sono delle sale a luci rosse in cui si consuma sesso orale “a scatola chiusa”: il performer racconta della volta che ha finalmente incontrato quel misterioso uomo che passa solo una volta l’anno per regalare emozioni indimenticabili al proprio partner segreto. E così, nella perdizione di un orgasmo irripetibile, la mente si distacca dal corpo e torna a ricordi d’infanzia.
L’Accidente 7, Un agujero en la calle, trasferisce il pubblico sul Ponte della Scienza, per raccontare della misteriosa apertura, su una strada di periferia, di un buco senza fondo, paradigma della profondità sensibile, ma anche di un vuoto impossibile da colmare.
Nel complicato e lodevole intreccio messo a punto dallo staff di Rosabella Teatro nelle giornate all’India è obbligatorio mettere in conto, tra una performance e l’altra, il tempo per i trasferimenti, per la formazione dei gruppi, per le prenotazioni da confermare o disdire. È il tempo del reale che circonda ogni evento performativo ma che, in questo caso, risulta impossibile da inserire consapevolmente all’interno della macchina della fruizione.
A Teatri di Vetro era sempre previsto un giorno di pausa tra le performance, un tempo che pareva necessario allo spettatore per elaborare le suggestioni ricevute, per incastonare i segni e i significati dentro il proprio stesso sentire. E così l’incidente faceva schiantare il tempo finzionale contro quello reale. Si tornava a visitare un Accidente nel viaggio da uno spettacolo all’altro, al termine di una giornata di spettacoli o di lavoro, e ci si ritrovava con il tessuto percettivo bucherellato, fragile, perfettamente permeabile a nuove epifanie. La disfunzione che si crea nell’esperimento del Teatro India sta forse nel fatto che la fruizione resta a metà tra l’evento singolo (concetto legato a quello dell’accidente) e il percorso immersivo, che avrebbe allora bisogno piuttosto di una sorta di labirinto continuo dal quale l’attenzione non sia autorizzata a fuggire.
Uno spettatore – tuttavia libero di scegliere – che abbia deciso di seguire tutti e sette i capitoli nell’arco di una giornata deve invece lasciare sempre in attività il “super-compito” di seguire il percorso, rendendo vulnerabile il proprio potenziale di attenzione al diversivo messo in mezzo dall’attesa, dalla conversazione, dalla birra o dal caffè. Finisce dunque per dover ricostruire ogni volta il raccoglimento necessario a far combaciare testi così meticolosamente letterari, voci eccessivamente cariche di toni cinematografici, azioni performative legate a un contesto a volte troppo dispersivo, inserti multimediali (come nel caso dell’Accidente 7) col fianco scoperto al passeggio dei non spettatori e manchevoli di una dimensione di necessità invece derivante da un luogo deputato.
Un articolo a parte servirebbe a raccontare la burrascosa odissea burocratica cui è stato sottoposto questo progetto dopo aver ottenuto un finanziamento diretto dall’Estate Romana (in grado in ogni caso di coprire solo parte delle spese), non senza la responsabilità del Teatro di Roma.
Una riflessione però utile può essere la seguente. L’esperienza di questa full immersion porta con sé ed espone i pro e i contro delle operazioni indipendenti, che per anni viaggiano sulle spalle di autori appassionati e che sarebbero autorizzate a vedere nell’ospitalità offerta da un Teatro Nazionale un’opportunità di quadratura del cerchio. Il fatto che questa volta il formato sembri non aiutare il contenuto e rischi di indebolire lo spesso strato di passione e di ricerca rimasto vivo negli anni è di certo un campanello d’allarme per la perizia degli artisti, ma forse ancora una volta il segno che certi tentativi avrebbero bisogno di un sostegno più organico da parte delle istituzioni: da un lato una qualche capacità di interpretare la specificità dei progetti al di là delle gabbie normative, dall’altro un sostegno che si spinga oltre la semplice messa a disposizione degli spazi.
Sergio Lo Gatto
ACCIDENTE 2 – GLORY HOLES
Con Tiziana Avarista / Cristina Golotaa / Anna Maria Loliva / Cecilia Napoli / Lucilla Miarelli / Cristina Poccardi / Jun Ichikawa e con te
Assistente Irma Carolina Di Monte / Elisa Gallucci
Scene Alberto Timossi
ACCIDENTE 3 – TORRE ANIMAL
Con Carlotta, Billy, Agostino e con te
Voce Giulio Stasi
Assistente Simone Minighini
ACCIDENTE 7 – UN AGUJERO EN LA CALLE
Con Marco Fois, Dario Salvagnini, Tiziano Scrocca e con te
Tecnica Dario Salvagnini