Terreni Creativi 2016 porta come titolo: settimo anno, la Crisi. Uno sguardo a questo festival resistente e un focus su Before Break di Balletto Civile.
«Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo […] mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo». Hannah Arendt in Vita activa consegnò a un oggetto di sublime familiarità, come è un tavolo, il difficile compito di rendere evidente e tangibile l’essenza della condizione umana, e di rappresentare nella sua ordinaria artigianalità l’indescrivibile mistero dei rapporti umani. È lì, attorno a un tavolo, che si incrociano gli sguardi e si muove la spola degli interessi, delle rivelazioni e delle condivisioni, è attorno a un tavolo che i commensali si conoscono e riconoscono, e tessono attraverso un lessico di parole e gesti la trama intima della memoria, delle esperienze, dei desideri. Ad Albenga, per tre giorni di agosto, è attorno a tavoli spartani, coperti da tovaglie gialle, che si è raccolta una cittadinanza variegata, curiosa e divertita: sedendo gomito a gomito, artisti e spettatori, giornalisti e organizzatori hanno celebrato nella quotidianità della cena e delle conversazioni l’esistenza, forte e radicata, di una comunità che, prima ancora che teatrale, è civile.
Nessuna delle consuete polemiche sulla presunta assenza di un fantomatico “grande pubblico” ai tanti festival dell’estate può infatti scalfire Terreni Creativi, la rassegna che da sette anni Kronoteatro – collettivo composto da Maurizio Sguotti, Tommaso Bianco e Alex Nesti – cura e organizza nelle aziende agricole del comune ligure: perché è soprattutto un inconsueto amalgama di famiglie e turisti a partecipare, numeroso, agli spettacoli. Una formula che non soltanto trasferisce l’arte scenica negli immensi spazi delle serre che costellano la riviera di ponente, così essenziali per il sostentamento economico del territorio, ma che consente anche di abitarle, di farle proprie e di viverle nella convivialità di un pasto offerto tra un monologo e una performance di danza. Un piccolo, silenzioso miracolo di passione e fatica, di coerenza con un’idea democratica di teatro, in grado di farne lo strumento per intrecciare nuove confidenze o rinsaldare, nello spazio compreso tra il palco e un tavolo, l’appartenenza a un luogo.
Eppure, un festival che ricuce gli sfilacciati legami comunitari e che si fa politico nel riuscito tentativo di edificare un’agorà della cultura – artistica ed enogastronomica – ha dovuto fronteggiare proprio una colpevole distanza della politica, nella forma di una drastica riduzione dei finanziamenti. La crisi del settimo anno, ricordataci anche dal titolo di questa edizione, si è potuta affrontare soltanto grazie al crowdfunding, al sostegno degli operatori e dei giornalisti, alla disponibilità degli artisti ad andare in scena anche a cachet ridotto. In prima regionale si sono così avvicendati tra gli altri, sotto le ampie vetrate e tra il profumo denso delle piante aromatiche, Aleksandros Memetaj con Albania casa mia, Gli Omini con Ci scusiamo per il disagio, Sotterraneo con Il giro del mondo in 80 giorni, storygame teatrale declinato questa volta in un format di due puntate, precedute da un insolito trailer sotto forma di quiz rivolto all’estemporaneo concorrente, il giornalista Graziano Graziani.
E tuttavia sembra che a muovere Terreni Creativi quest’anno non sia stato soltanto un adamantino ideale di resistenza e resilienza, quanto un contagioso entusiasmo, un’esuberante necessità di partecipazione: quasi che la rassegna stessa sia uno di quegli «atti inconsulti di felicità» ricordati in Before Break, nuova creazione che Balletto Civile – vincitore quest’anno del Premio Hystrio Corpo a Corpo – ha presentato presso l’Azienda RB Plant. Comunità e condivisione, cifre del festival, sembrano costituire anche l’intelaiatura attorno alla quale la direttrice di Balletto Civile Michela Lucenti ha modellato un edificio di parole e gesti, capace di tradurre su un pavimento di nudo cemento l’urgenza della gioia, il suo caos, le sue incertezze. Siedono in mezzo a noi, i danzatori, nella luce piana e diffusa che illumina equamente la scena e il pubblico assiepato sui quattro lati dell’atipico palcoscenico: e il contatto fortuito, il sorriso intravisto e il respiro appena ascoltato si trasmettono così dagli artisti agli spettatori, si diffondono come elettricità. È un cerimoniale del perdono, quello al quale siamo invitati a partecipare: quello stesso perdono implorato da Prospero nel monologo conclusivo de La tempesta e che Maurizio Lucenti – il padre della coreografa che si integra con commovente fascino al cast – ci invita a donare nei sessanta minuti dello spettacolo.
L’ultimo dramma di Shakespeare fornisce all’artista spezzina il canovaccio grazie al quale indagare i punti di rottura del corpo, le fratture del movimento e le sue alternanze con le pause e l’immobilità, per trasfigurare questa analisi estetica in sintesi di una contemporaneità che continua a frantumarsi e a spezzarsi sulle nostre coste e nei nostri mari. La burrasca che rovescia sull’isola gli incolumi Antonio, Ferdinando e re Alonso – plasticamente resa dai performer chiamati a sopravvivere, lungo una corda tesa in diagonale, alla furia della danza e all’intensità del suono curato da Maurizio Camilli – è giornalmente latrice di morte nel Mediterraneo, dove l’iconico gesto di gettare un salvagente arancione è soltanto un’azione inane. Ma i naufraghi di Balletto Civile sembrano essere in grado di trascendere la realtà avversa: in smoking e scarpe di vernice, alternando straordinari assoli di break dance o tip tap all’interpretazione di frammenti del testo shakespeariano, confondendosi continuamente tra gli astanti per poi lasciarsi possedere da una danza esplosiva, sembrano in grado di superare il limite di sollecitazione, fisica e psicologica, alla quale sono sottoposti.
Creature a metà tra il sogno e il cabaret, abitano la scena individualmente o in brevi azioni di gruppo, costruendo una possibilità altra, nella quale le corde non legano vele ma anime e destini, e possono salvarci dall’annegare. Eccole, le relazioni tra gli uomini che il teatro, «arte politica per eccellenza» secondo Arendt, traspone nell’arte: e che rinsalda anche al di fuori della scena, a volte attorno a un tavolo, a volte dentro una serra.
Alessandro Iachino
visto a Terreni Creativi 2016, Albenga (SV) – agosto 2016
BEFORE BREAK
ideazione e coreografia Michela Lucenti
suoni Maurizio Camilli
danzato e creato con Fabio Bergaglio, Ambra Chiarello, Aziz El Youssoufi, Giovanni Leonarduzzi, Mirko Lo Piccolo, Michela Lucenti, Maurizio Lucenti, Alessandro Pallecchi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Demian Troiano, Natalia Vallebona
produzione Balletto Civile
musica dal vivo Julia Kent
in collaborazione con Centro Dialma Ruggero-FuoriLuogo/La Spezia; Fondazione Luzzati Teatro della Tosse
con il sostegno del Mibac