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Teatro a corte 2016. Il legame tra arte e luogo

Teatro a Corte 2016 ha aperto il Castello Reale di Racconigi alla danza con Reckless Sleepers e Vero Cendoya. Recensione

Teatro a corte 2016
A string section – Foto Ufficio stampa

Giovani donne che scendono antiche scalinate imbracciando con noncuranza minacciose seghe da falegname; eteree ragazze che solo nel gesto trovano una via di fuga al silenzio; un folle gruppo di uomini e donne, attraversato da una gioia anarchica, che nel gioco del calcio cerca di tessere nuove relazioni e decostruire antiquati paradigmi sociali: ecco i protagonisti di Teatro a Corte 2016, un carosello fantasmatico di artisti europei chiamati a percorrere l’impalpabile confine tra danza, performance e nouveau cirque. Per otto giorni hanno abitato Torino e soprattutto le dimore sabaude, istituendo con esse quel rapporto intimo e profondo che costituisce la specificità primaria del festival piemontese, giunto alla sua decima edizione. La misteriosa equazione che lega il teatro ai propri luoghi trova infatti nella rassegna diretta da Beppe Navello una soluzione di vertiginosa bellezza, che sembra quasi inserire Filippo Juvarra e Guarino Guarini, architetti di Casa Savoia, tra gli stessi artefici degli spettacoli: tale è infatti il riverbero di incanto che i sontuosi edifici gettano sulle creazioni sceniche, da trasformare in imprescindibile e necessaria la loro muta presenza, mai banalmente scenografica. Non è quindi un caso che tra le opere presentate nell’ultimo weekend del festival abbiano maggiormente convinto A String Section del collettivo anglo-belga Reckless Sleepers e La partida della coreografa spagnola Vero Cendoya: non semplicemente traslate in uno spazio atipico, né soltanto giustapposte al Castello Reale di Racconigi, esse sono risultate connaturate al paesaggio, e capaci di intrecciare con esso un dialogo visuale denso e significativo, che ha tradotto in inconsuete suggestioni l’imponenza dell’architettura.

Teatro a corte 2016
La Partida – Foto Marti E. Berenguer

Come dame di epoche passate, le performer di A String Section (Leen Dewilde, Lisa Kendal, Rachel Rimmer, Caroline D’Haese, Orla Shine) osservano con distacco il pubblico raccolto sul piazzale posteriore del Castello, e con ostentata indifferenza si accomodano su cinque sedie di legno di elegante fattura, a sfidare l’insolenza borghese con cui vengono fissate. Per lunghi minuti, le donne fronteggiano gli spettatori, quasi annoiate dal silenzio e infastidite dalla troppa luce del tardo pomeriggio: le seghe da falegname, che stringono tra le mani, ne confutano tuttavia l’immagine raffinata e signorile, promettendo una deriva inconsueta e folle al loro incontro. La sola presenza delle seghe e il portato archetipico di artigianalità, sudore e fatica a esse sotteso determinano un cortocircuito con il contesto aristocratico del Castello: a metà strada tra un objet trouvé e un ready-made, esse conferiscono un’impronta dadaista alla coreografia di Leen Dewilde, che sfugge e irride ogni interpretazione critica a vantaggio di una valenza puramente estetica e narrativa. Nulla può infatti spiegare quel gesto, surrealista più ancora che surreale, del segare con acribia e pazienza le gambe delle sedie, che le performer a poco a poco intraprendono in un silenzio rotto soltanto dai rumori prodotti dall’insensata azione: e anche in virtù di questa obbligata sospensione interpretativa, lo spettacolo dei Reckless Sleepers suscita una divertita partecipazione degli spettatori. Stralunate concertiste, accomunate alle orchestrali di tutto il mondo dalla divisa dì ordinanza ‒ un elegantissimo abito nero ‒ le cinque eseguono una sinfonia per sega e legno, un quintetto per archi preannunciato dal titolo della performance e del quale tuttavia l’aspetto visivo sopravanza quello acustico: ostinate, le artiste di A String Section combattono la gravità mantenendosi in equilibri sempre più precari e ginnici, mentre da sole provvedono a distruggere quelle sedie sulle quali hanno trovato una provvisoria sistemazione. E quando, ormai rovinate sul selciato, potrebbero zittire i propri strumenti, le cinque continuano imperterrite e pervicaci ‒ in una dilatazione dei tempi tuttavia eccessiva ‒ a sezionare e frantumare il banale manufatto, a ridurlo in assi e listelli, a restituirlo a una forma primigenia.

Teatro a corte 2016
A string section – Foto Ufficio stampa

Proprio lo straniante contrasto con lo scenario sofisticato amplifica il carattere di gioiosa irriverenza de La partida, originale ma a tratti confusa performance di Vero Cendoya: trasformato in un campo da calcio, il parco alla francese del Castello di Racconigi ha così fornito il maestoso e nobile fondale sul quale cinque calciatori e cinque danzatrici hanno gareggiato un match a metà strada tra l’indagine sociologica sullo sport più praticato al mondo e la denuncia della condizione femminile. Assiepati lungo le linee segnate dal gesso sull’erba, gli spettatori si scoprono così a interpretare il ruolo pop del tifoso, mentre su una tribuna laterale una violinista dirige cori di incitamento delle due squadre: quella degli uomini, capaci di fare sfoggio di solitarie prodezze e virtuosismi, e quella delle donne, che in sincrono perfetto accennano passi di danza ed eseguono variazioni coreografiche. Fare goal non sembra essere in fondo lo scopo principale della rappresentativa muliebre: ben più importante è quella lotta per la dignità e la sopravvivenza quotidiana, alla quale i giocatori di Cendoya ‒ dipinti con toni fin troppo stereotipati e manichei ‒ obbligano le ragazze. Affastellando generi musicali, mescolando tango e teatrodanza, momenti introspettivi e ironici siparietti, Cendoya tenta di indagare attraverso la lente deformante del calcio lo stato attuale di una secolare battaglia tra i sessi: che nelle fasi interlocutorie sottrae diritti, ma che in quelle più violente è capace anche di uccidere. Sul campo di Racconigi un calciatore può sgozzare una rivale e usare la sua testa come un pallone: fuori, una donna può forse sperare di avere salva la vita, ma ‒ come ricorda una registrazione audio ‒ vedrà minata la possibilità di mantenere il proprio lavoro qualora aspetti un bambino. A governare questo conflitto è chiamato un potere indifferente, che con cinismo si sottrae alle proprie responsabilità: e il carismatico arbitro interpretato da Mikel Fiol perpetua tacitamente lo status quo impegnandosi non a dirimere le controversie, bensì in balletti dal gusto camp. Accumulando fin troppe soluzioni e temi, la creazione della coreografa spagnola affascina più per gli aspetti ludici che per quelli etici, politici e artistici: purtroppo, neanche nella finzione scenica il calcio regala una vittoria all’universo femminile.

Alessandro Iachino

Racconigi (CN), Festival Teatro a Corte 2016 – luglio 2016

RECKLESS SLEEPERS
A STRING SECTION

con Leen Dewilde, Lisa Kendal, Rachel Rimmer, Caroline D’Haese, Orla Shine
coreografia Leen Dewilde
regia Mole Wetherell

VERO CENDOYA
LA PARTIDA

regia e coreografia Vero Cendoya
direzione musicale Adele Madau
assistente regia e movimenti Gema Diaz
danzatrici Dory Sanchez, Xaro Campo, Linn Johansson, Natalia D’Annunzio, Sarah Anglada calciatori Gastón de la Torre, Babou Cham, Adrian Nieto, Alik Santiago Cordech, Reynaldo Zerpa
arbitro Mikel Fiol
collaborazione speciale Blanca Portillo
costumi Kike Palma e Ester Muñoz
produzione Isabel Bonilla Besset
coproduzione Fira de Tàrrega e Centro Coreográfico El Graner
con la partecipazione di Adelmo Luccoli, Denise Aimar, Giovanna Magnolia, Giuseppe Saccotelli, Nadia Canevaro, Sara Saccotelli, Tamara Segal, Valeria Mirabella

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