Il Manifesto del Teatro Fronterizo venne scritto da José Sanchis Sinisterra, drammaturgo, regista e maestro della scena teatrale contemporanea spagnola, nel 1977. Lo pubblichiamo qui come elemento imprescindibile per avvicinarsi al pensiero dell’autore e alla conversazione precedentemente pubblicata
Leggi anche: Il teatro e la frontiera. Conversazione con José Sanchis Sinisterra
MANIFESTO DEL TEATRO FRONTERIZO
(traduzione di Claudia Giannotta)
I
Ci sono territori che esistono, pur non godendo del privilegio della centralità.
Zone estreme, distanti, limitrofe all’altrui, quasi estranee. Proprie solo apparentemente.
Aree di identità incerta, sottili, a qualunque vicinanza. Dove l’attrazione per l’altro, per il diverso è insieme richiamo ed ispirazione.
Territori di deboli appartenenze e scarsa fedeltà, nomadi di tante case. Terra di tutti e di nessuno. Luoghi di incontro permanente, di attriti che elettrizzano l’aria, di guerre, di accoppiamento, di legami: fertili impurità; di tradimenti e patti: promiscuità.
Vite ad alta tensione.
Nelle zone di confine non ci sono confini.
II
Ci sono persone radicalmente di frontiera.
Queste vivono lì dove si vive, il loro paesaggio interiore si apre su orizzonti sconosciuti.
Vivono in un perpetuo viavai, che nessun sedimentarismo occasionale riesce a placare. Questi sanno parlare lingue straniere; generalmente si tratta di avventurieri delusi, inquieti esploratori, i quali, senza rinnegarle, dimenticano le proprie origini.
Questi non si confondono con i coloni o i conquistadores, non hanno bandiere, né aratri. Prosperano e si esaltano raramente. Tutt’al più vivono, si accampano, sino a quando il circostante non diventa familiare, fino a che qualcuno non si collochi così vicino da popolare, e quindi delimitare, il paesaggio.
In tal caso partono, verso l’intero, verso l’esterno, verso luoghi sconfinati.
Privi d’amore per l’abitudinarietà.
III
Esiste anche una cultura fronteriza (di frontiera), Una faccenda intellettuale ed artistica, che si produce nelle periferie delle scienze e delle arti e nei dintorni di ogni dominio del sapere e della creatività.
E’ una cultura centrifuga, che aspira alla marginalità –ma non all’emarginazione, che pure delle volte risulta conseguenza indesiderabile- all’esplorazione dei limiti e dei fecondi confini.
E’ di marchio meticcio, d’identità ambigua, ha origini bastarde. Nulla è estraneo a questa cultura, non c’è un concetto di purezza o di essenza.
E’ apolide, agnostica ed eclettica.
Considerato il suo disprezzo per le regole è incline al frivolo ed alla dismisura, d’ altra parte non pretende di servire alcun passato, umile, glorioso o infame –quindi contraria alla legge dell’ereditarietà- non pensa al futuro, le sue sono opere effimere, così come la vita.
Ciò non toglie che nelle sue zone franche, nelle sue regioni indefinite non riportate sulle mappe, irrompano chiassose le avanguardie, e che i dotti accademici erigano capannoni che finiscono per diventare musei. Però non c’è da lamentarsi, ovunque sorgono nuove frontiere culturali. Persino in quelle che anticamente furono metropoli delle arti e delle scienze, che rimasero poi abbandonate per lungo tempo perché incomprese o dimenticate dai frutti dei quelle stagioni, possono aprirsi dintorni straordinari e nuovi orizzonti.
Occorre quindi, che qualcuno scopra i confini transitabili ed i lontani domini dell’ appartenenza, ed i punti d’incontro tra questi due.
Così, alla deriva tra casualità e rigore, trascorre da sempre la cultura di frontiera, là dove non arriva la voce del potere.
IV
C’è, – c’è sempre stato – un teatro di frontiera. Intimamente legato al fluire della storia; anche se la storia lo ha spesso ignorato, forse per la sua aderenza e coesione con il presente, o per il suo vivere voltando le spalle alla posteriorità.
Fatto per essere realizzato fuori dai capannoni indiscutibili del “recinto sacro”, del compartimento servile ai titoli ed al consenso privato.
Un teatro che a volte ignora il suo nome, ed è indegno di qualsiasi altro nome.
Faccenda umana che si svela nel terreno più ambiguo dell’arte, delle arti e dei mestieri. Frontiera tra arte e vita. AttiIl Manifesto del Teatro Fronterizo venne scritto da José Sanchis Sinisterra, drammaturgo, regista e maestro della scena teatrale contemporanea spagnola, nel 1977. Lo pubblichiamo qui come elemento imprescindibile per avvicinarsi al pensiero dell’autore e alla conversazione precedentemente pubblicatavità multiforme, inoffensiva, gioco compromesso con l’umano. E’ un teatro che provoca unioni improbabili e che denuncia la stupidità dei vecchi scismi, che ne distrugge gli insiemi armonici, che ne disarticola la sinestesia, e su di questo fonda la sua macchinazione.
È quello che non viene riconosciuto, ibrido, mostro fugace ed innocuo, prodotto di residuo che fluisce tenacemente, ma per vie laterali.
E se a volte acconsente a servire una causa, seppur provvisoriamente, assume i colori di un’altra bandiera, la sua profonda vocazione, non per trincerarsi in un ideale nazionalista, ma bensì per aprirsi a quello spazio in cui nascono le domande, quella zona indefinita che nessuno rivendica come propria. Ha il fine delimitato – nella sperimentazione – di suscitare l’affiorare di piccole patrie nomadi, di paesi effimeri ma abitabili, dove ogni giorno si inventano azioni e pensieri.
Non è in alcun modo un teatro estraneo alle lotte contemporanee. Tutte le fa sue, quelle passate così come le future. Perché nelle frontiere devo essere molteplici le armi e le strategie.
1977
Leggi anche: Il teatro e la frontiera. Conversazione con José Sanchis Sinisterra
Questa traduzione è parte della tesi di laurea di Claudia Giannotta, discussa all’Accademia di Belle Arti di Lecce, Scuola di Scenografia a seguito di un soggiorno di studio Erasmus 2016.
Un ringraziamento al drammaturgo José Sanchis Sinisterra, a Giancarla Carboni, sua allieva alla Corsetteria, e alla prof.ssa Anna Maria Monteverdi (Accademia Belle Arti, Lecce) che ha raccolto e organizzato il testo in forma di articolo.
Le Edizioni Corsare hanno pubblicato i seguenti testi di Sinisterra:
Ay, Carmela! Traduz. di Antonella Caron, Edizioni Corsare, Perugia 2002 pp. 92 – € 10,00
La scena senza limiti, traduz. di Antonella Caron (raccolta di saggi di Sinisterra, Edizioni Corsare, Perugia 2003, pp. 113 – € 10,00
I figuranti – Perduta sugli Appalachi, traduz. di Antonella Caron, Edizioni Corsare, Perugia 2006 pp. 120 € 12,00.