In occasione della rassegna Il giardino ritrovato a Palazzo Venezia, Virgilio Sieni porta a Roma le sue Sonate Bach. Di fronte al dolore degli altri. Recensione.
Nella condizione di profonda trasformazione tecnologica del concetto di sincronia, il contemporaneo in arte esprime un tempo perennemente “ex post” che si posiziona attraverso dispositivi tecno-estetici. Così, gli undici episodi di Sonate Bach. Di fronte al dolore degli altri di Virgilio Sieni sembrano galleggiare sulla superficie del tempo che scorre: appartengono all’oggi pur lasciandosi abitare da ciò che è necessariamente stato. Si tratta innanzitutto di una lista di città e di date: una limitata selezione degli eventi drammatici accaduti nel mondo tra il 1994 e il 2007, anno di creazione dello spettacolo.
Baghdad, Kabul, Srebrenica e gli altri luoghi di dolore evocati da Virgilio Sieni sono teatri continui di violenza. In qualche modo, il filo color rosso sangue che li accomuna è costituente di una comunità sempre più divisa tra partecipanti e osservatori e marca chiaramente quel confine tra osservato e osservatore che nella sua estremizzazione forse è, oggi, uno dei più chiari segni della nostra dilagante disumanità.
Proiettati uno dopo l’altra con un semplice carattere bianco sul fondale nero della scena, nomi e date di orribili eventi bellici attivano negli spettatori la memoria di un dolore tutto sommato “altrui” e indefinito. Nonostante la costanza dei suoi delitti, la guerra è ancora distante mentre noi ascoltiamo Bach seduti in una platea all’aperto, dentro a un giardino cinquecentesco nel centro di Roma.
Il proposito, tuttavia, sembra non essere solamente quello – immediato – di sensibilizzare la nostra coscienza sull’indifferenza che portiamo a quelle porzioni di dolore che non consideriamo nostre e nemmeno sarebbe lecito pensare che la danza voglia o possa ergersi a mezzo narrativo anche minimamente verosimile, capace di raccontare la sofferenza dei corpi afflitti dalle guerre attraverso i danzatori. La complessità della musica e la sua bellezza ci ricordano che per affrontare l’immensa complessità del mondo abbiamo a disposizione solo una manciata di sensi.
Quelli dei quattro eccellenti danzatori Jari Boldrini, Sara Sguotti, Nicola Cistemino e Giulia Mureddu sono corpi duttili, che accompagnano linee e forme chiare all’interno di sequenze coreografiche eleganti e fluide alle quali Virgilio Sieni ci ha ormai abituati. La pulizia del movimento nasce senza dubbio dalla capacità degli interpreti, ma anche da un lavoro che ricerca costantemente quella disponibilità del corpo a raggiungere forme iconiche che, nella loro astrazione, disciolgono la prodezza del codice tecnico nella naturalezza del gesto quotidiano restando in ascolto dei riferimenti compositivi rinascimentali di cui la danza di Sieni non fa mai segreto.
Uno dopo l’altro i quadri dello spettacolo ci invitano a osservare corpi capaci di farsi maceria, ma anche resistenza e splendore della condizione umana. L’orrore senza soluzione che i diversi capitoli richiamano alla nostra memoria rivivono nell’atemporalità dell’arte figurativa classica dove l’immaginazione di corpi perduti, nel bene e nel male, trova lo spazio in cui potersi silenziosamente posare, come se finalmente il corpo – esaurendo una dopo l’altra le sue spirali di movimento – trovasse la dimensione interiore di una preghiera. La danza, infatti, procede per frasi che, esplorando tutte le dimensioni dello spazio scenico e della sfera del movimento, si risolvono in forme calme.
Emerge, dal percorso pluriennale di Virgilio Sieni, la danza intesa come strumento di esplorazione di una realtà sempre più effimera, il cui tempo accelerato sbriciola soprattutto la condizione di esistenza della memoria e il senso di comunità. Laddove l’attualità è archeologia istantanea, la danza dei corpi – di tutti i corpi – è un prezioso strumento di conoscenza reciproca e di coesione. Gli accadimenti galleggiano sullo specchio d’acqua di un fiume che avanza agitato da mille correnti. Quello del corpo è allora un segno capace di “restare” più di tutti gli altri. Contro il crescendo dell’effimero, la danza è l’opportunità della condivisione di un punto fermo che non cristallizza il ricordo, ma lo sospende in una riflessione corporea che abita nell’evoluzione inaccessibile del tempo presente.
Gaia Clotilde Chernetich
Palazzo Venezia, Roma – luglio 2016 (Il giardino ritrovato)
SONATE BACH. DI FRONTE AL DOLORE DEGLI ALTRI
coreografia e regia Virgilio Sieni
musica J. S. Bach – Tre Sonate per violoncello e pianoforte (BWV 1027, 1028, 1029)
con Giulia Mureddu, Sara Sguotti, Nicola Cistemino, Jari Boldrini
costumi Giulia Pecorari, Giulia Bonaldi
produzione in collaborazione con Festival Chiassodanza, RED Festival Reggio Emilia Danza CANGO – Cantieri Goldonetta Firenze
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali Dipartimento dello spettacolo, Regione Toscana