Oscar De Summa presenta in prima nazionale durante il Festival Inequlibrio 2016, La sorella di Gesucristo, ultimo capitolo della Trilogia della provincia. Recensione.
La sorella di Gesucristo io non l’ho conosciuta a teatro. L’ho conosciuta la mattina prima del suo debutto, quando il sole già cocente puntava a canicola sulla sola strada affollata di Castiglioncello, al tavolino giallo plastificato di un bar, tra una bottiglietta d’acqua, un caffè e una brioche divisa in quattro: è in quel momento che ho conosciuto Maria. Nei discorsi di un impaziente Oscar De Summa, nella disillusione muta di Roberto Scappin e nella riflessiva e puntuale fermezza delle parole di Paola Vannoni. Maria era già lì. Dove ci sono domande impellenti, dove si agitano i pensieri, dove si crede in una “rivoluzione” delle coscienze ormai troppo assopite; quando la determinazione nel riconoscere uno stato di pensiero spinge a volerlo cambiare, agitarlo e metterlo in crisi. Sono accadimenti come questi che fanno da corollario all’esperienza di spettatore offerta in festival come quello di Armunia. L’unicità di una strada e del suo centro, piccolo ma affollato, in cui ci si incontra nello scambio.
La strada di Castiglioncello, forse meno balneare, un po’ più arsa dal sole, più spartana, potrebbe essere la stessa del monologo di De Summa, presentato in prima nazionale nella serata conclusiva del Festival Inequilibrio, a chiudere i capitoli della Trilogia della provincia, dopo Diario di provincia e Stasera sono in vena. È l’attore stesso ad aver scelto di spostare lo spettacolo nella cornice dell’anfiteatro all’interno del parco del Castello Pasquini (da programma tutti i capitoli della trilogia dovevano svolgersi al Teatro L’Ordigno di Vada), a ribadire quel legame che non si vuole interrotto con quella che è l’anima del festival; correndo il rischio tecnico che i microfoni non funzionino, che il suono o, in questo caso, anche il video possano avere dei problemi. Vista la serata di chiusura, molti membri della stampa sono stati costretti a ripartire, ma quello che è certo è che l’anfiteatro era strapieno di persone, poco importa se addetti ai lavori o pubblico pagante. Erano lì e avevano bisogno di esserci.
Un paesino in provincia di Brindisi: una strada e il suo attraversamento; una ragazza, Maria, con una pistola Smith & Wesson 9 millimetri. Se c’è un pistola c’è qualcosa da vendicare. Oscar De Summa, solo in scena, è l’amplificatore di questa storia: sonoro quando con l’aiuto del microfono rende la propria voce effettata e piegata all’interpretazione; corporeo quando è omone armato e risoluto o fragile ragazza tradita. De Summa non interpreta Maria, sarebbe riduttivo, incarna invece la proiezione di essa e del suo percorso lungo quella retta che taglia la cittadina. È il narratore interno che fa parlare i personaggi, protagonisti di questo momento e tramite i quali veniamo a conoscenza di ciò che è successo. Il racconto orale, si sa, non è oggettivo, in quanto filtrato dall’individualità del singolo, da quelle che sono le sue esperienze, così il gesto di Maria non può che interessare tutta la comunità, chiamata a intervenire perché ognuno, in quella spietata evidenza, davanti a quella macchia così incancellabile, non può e non deve astenersi.
Maria è protagonista assente, interviene solo una o due volte in tutto il lungo monologo e oltretutto ha una voce stridula, forse anche un po’ sempliciotta. Ma non ci interessa Maria quanto piuttosto la rappresentazione di ciò che ha subito. La rappresentazione è nei pensieri, dialoghi, esternazioni, commenti di ciascuno degli abitanti del paese in cui vive la ragazza e che tutti conoscono: dalla famiglia (che compare per ultima) passando per il primo fidanzatino e l’amica, poi la maestra delle elementari e poi anche la madre del carnefice. Che cosa rappresenti invece non è definibile. Il nome Maria è solo un distintivo, potrebbe essere benissimo Elena, Laura, Chiara. Che cosa pensa neanche è controllabile, tanto quanto non lo sono le sue ragioni. ll suo corpo è di tutti, di tutti quelli che per ingenuo slancio empatico si convincono di comprendere e si schierano con lei impugnando addirittura un fucile. Quei “tutti” lo fanno per sé stessi. Soprattutto gli uomini, i quali perseverano nella difesa di un dominio oltraggiato: «Se sei un uomo» devi per forza intervenire, «se sei un uomo» prendi il fucile, «se sei un uomo» non la fermi perché «il verme» deve pagare. «Se sei un uomo» fai l’uomo.
Alla base della semplice narrazione scritta e inscenata da De Summa – coadiuvata sullo sfondo dalle proiezioni visive dei disegni di Massimo Pastore e sostenuta emotivamente da una colonna sonora rock che inanella uno dopo l’altro Dire Straits, Red Hot Chili Peppers, U2, Nirvana ecc. – vi è un logos difficile da scardinare tanto culturalmente che socialmente, che trova non solo rappresentazione ma anche manifestazione della propria fallibilità e parzialità. Logos che poggia innanzitutto su una violenza dialettica denunciata dal testo quando fa riferimento a quelle espressioni «innocue in apparenza» che quotidianamente vengono avallate. La sorella di Gesucristo sembra respirare con l’aria lasciata dal finale aperto, che non si sbroglia in una conclusione definitiva ma lascia irrisolto il nodo iniziale: vittima o carnefice, chi dei due non ha scampo e, specie in queste ore, che alternative abbiamo, se ve ne sono, di fronte alla violenza, qualsiasi essa sia?
Lucia Medri
Festival Inequilibrio 2016 – Castiglioncello
LA SORELLA DI GESUCRISTO
di e con Oscar De Summa
progetto luci e scena Matteo Gozzi
disegni Massimo Pastore
produzione La Corte Ospitale, Atto Due, Armunia-Castiglioncello
con il sostegno di La Casa delle Storie
La Corte Ospitale
Prossime date:
lunedì 18 luglio 2016, ore 22.05
Kilowatt Festival – San Sepolcro, Torre di Berta
giovedì 21 luglio 2016, ore 21.30
Teatro Sociale di Gualtieri