Marta Cuscunà con Sorry, Boys, visto a Pistoia per Teatri di Confine, indaga la vicenda di cronaca della gravidanza mutipla di un gruppo di adolescenti americane. Recensione
Della sua figura, minuta e forte, intravediamo soltanto un paio di calzini dentro comode sneakers, e frammenti di labbra che si affacciano, rapide, tra gli scudi lignei giustapposti. Si muove in un’oscurità pressoché assoluta, Marta Cuscunà: dietro a volti di lattice e ferro, dietro le quinte di arcaici sistemi patriarcali e violenze sottaciute. Non concede nulla di sé alla vista, ma sceglie invece di fare proprie quell’ombra e quel buio nel quale le ragazze protagoniste della vicenda hanno dato origine a una rivoluzione incruenta, sopportando la salva di supposizioni e giudizi taglienti con cui la comunità del New England salutò la loro impresa. Ed è lì, lontano dallo sguardo del pubblico, che l’attrice di Monfalcone – corpo in absentia di diciotto adolescenti americane – offre in Sorry, Boys la propria voce poliedrica e cristallina a un’umanità meccanica, tira con perizia le fila di acciaio di dodici maschere e con esse di ordinarie esistenze travolte da un evento di bellezza visionaria e immaginifica. Palpebre e labbra semoventi, freni di bicicletta, tavole di legno: ecco la cittadinanza di Gloucester trasformata in trofeo da una caccia grossa e cannibalica, messa spalle al muro da un gesto vitale e naturale. Come il mettere al mondo un bambino.
È nel Massachusetts dei padri pellegrini e dei pescatori, ma soprattutto del puritanesimo e delle streghe di Salem, che nel 2008 diciotto studentesse della Gloucester High School restarono incinte, contemporaneamente: un fatto che sconvolgeva la bonaria sicurezza delle statistiche con la dura realtà di un numero quattro volte superiore alla media, troppo alto per poter lamentare, con borghese pruderie, il naufragio di qualsiasi ideale di castità e pudore. Qualcosa di premeditato, di pericoloso come un desiderio covato a lungo, sembrava aver mosso le ragazze, e ben presto si diffuse, con la velocità del pettegolezzo, la notizia dell’esistenza di un patto: un’alleanza che le teenager avrebbero stretto per cercare, a tutti i costi, quelle gravidanze da portare a termine insieme. Ma con Sorry, boys – andato in scena nella Sala dei Concerti di Villa Scornio a Pistoia, all’interno della rassegna estiva Teatri di Confine a cura di Fondazione Toscana Spettacolo e dell’Associazione Teatrale Pistoiese – Marta Cuscunà costruisce sulla vicenda reale delle ragazze di Gloucester l’affresco struggente di una società, fin troppo riconoscibile, permeata dalla violenza di genere e intrinsecamente maschilista. Come in Juno, altrettanto straordinario film diretto da Jason Reitman e scritto da Diablo Cody, la gravidanza fa deflagrare ben più dei difficili rapporti tra i giovani genitori: essa è soprattutto la cartina al tornasole di una società schizofrenica, perennemente oscillante tra postmodernità tecnologica e arretratezza dei valori, lacerata da un acuto conflitto generazionale. Sono due universi anagrafici a dominare lo spazio scenico: a sinistra un gruppetto di cinque adolescenti maschi, catapultati dall’improvvisa paternità a fare i conti con ciò che, forse, significa diventare uomini; a destra sette adulti e la loro apparente incapacità di comprendere come il gesto delle proprie figlie o allieve sia, soprattutto, un messaggio a loro diretto. In mezzo, a separare i due mondi, torreggia lo schermo di uno smartphone, gigantesco come un monolite: collante virtuale tra i gruppi di maschere ma ancor più feticcio di un’epoca altra, di un presente che sembra stridere con l’antichità polverosa dei trofei e di un sistema di credenze soppiantato dall’urgenza di un gesto irrevocabile. È solo con ironiche chat e intimi messaggi proiettati sullo schermo (le animazioni grafiche sono di Andrea Pizzalis) che le protagoniste di Sorry, boys parlano, mentre attorno a loro, e al loro paradossale silenzio, tutti avanzano teorie o formulano sentenze. Vincolate alla parete da chiodi e idiosincrasie, ganci e meschinità, le dodici teste meccaniche (superbe creazioni di Paola Villani, ex Pathosformel) indagano attraverso dialoghi ora crudi, ora sarcastici, i moventi profondi del patto gravidico. La brillante drammaturgia percorre così le strade duplici dell’inchiesta giornalistica e del dramma psicologico, facendo progressivamente emergere verità scomode, o addirittura sanguinose: quella delle quotidiane violenze a cui le donne di Gloucester erano sottoposte, e che il patto cercava di spezzare istituendo un mondo nuovo, una comune femminile autogestita dove i bambini potessero crescere al riparo dalle botte e dagli ideali a esse sottese, ma anche la verità di maschi immaturi e spaventati, paranoicamente alle prese con una virilità misurata sul difficile metro della pornografia, e di adulti eternamente alle prese con i propri fantasmi (lo spettro del razzismo agitato dalla madre nera, il terrore del padre che teme di non contare abbastanza in famiglia).
È un tour de force attorale e fisico quello che impegna Marta Cuscunà in Sorry, boys: la partitura vocale per dodici voci e accenti si fonde infatti a quella gestuale per freni, leve e pedali, necessari a conferire le espressioni di rabbia, stupore o disincanto alle maschere. Convincente, necessario terzo capitolo del progetto dedicato alle Resistenze femminili, lo spettacolo – come già È bello vivere liberi! e La semplicità ingannata – traccia non soltanto un ritratto di donne realmente esistite, quanto un attualissimo e possibile percorso di resilienza e liberazione: che nella cittadina americana prende la forma di una marcia contro la violenza. Una marcia di uomini, finalmente consapevoli che spetta anche o soprattutto ai boys ribellarsi alle brutalità da loro stessi commesse. Centinaia di passi attraverso le strade del Massachusetts, e uno soltanto a destra, oltre le maschere: quello di Marta Cuscunà quando, sul finale, ci mostra finalmente il volto, e un sorriso appena accennato.
Alessandro Iachino
Villa Scornio, Pistoia – giugno 2016
SORRY, BOYS
Dialoghi su un patto segreto per 12 teste mozze
Liberamente ispirato a fatti realmente accaduti a Gloucester, Massachusetts
di e con Marta Cuscunà
progettazione e realizzazione teste mozze Paola Villani
assistenza alla regia Marco Rogante
disegno luci Claudio “Poldo” Parrino
disegno del suono Alessandro Sdrigotti
animazioni grafiche Andrea Pizzalis
costume di scena Andrea Ravieli
co-produzione Centrale Fies
con il contributo finanziario di Provincia Autonoma di Trento, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
con il sostegno di Operaestate Festival, Centro Servizi Culturali Santa Chiara, Comune di San Vito al Tagliamento Assessorato ai beni e alle attività culturali, Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia
distribuzione Laura Marinelli
teste gentilmente concesse da Eva Fontana, Ornela Marcon, Anna Quinz, Monica Akihary, Giacomo Raffaelli, Jacopo Cont, Andrea Pizzalis, Christian Ferlaino, Pierpaolo Ferlaino, Filippo pippogeek Miserocchi, Filippo Bertolini, Davide Amato
un ringraziamento a Andrea Ravieli, Lucia Leo, Roberto Segalla e alle ragazze e ai ragazzi del Gender and Sexuality Group del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico
Marta Cuscunà fa parte del progetto Fies Factory