Macbeth con la regia di Reza Servati. Lo abbiamo visto nella rassegna promossa a Bologna da Teatri di Vita, dedicata all’arte e alla cultura iraniane
In un articolo di qualche mese fa Andrea Porcheddu esortava la critica ad allargare i propri confini non solo di militanza ma anche di impegno nel raccontare il teatro extra europeo. Cosa sappiamo ad esempio di quei paesi con cui ci confrontiamo quotidianamente solo attraverso il filtro dei problemi economici, dei flussi migratori e della guerra? Come reagisce l’arte scenica a questi violenti mutamenti? Il teatro poi, risulta essere sempre in difficoltà ad esprimere la propria vocazione internazionale soprattutto rispetto alle culture non occidentali. Perciò è davvero un segnale importante (come la programmazione del lavoro di Amir Reza Koohestani in altri festival estivi) quello mandato da Cuore di Persia, rassegna dedicata da Teatri di Vita alla scena iraniana.
Il teatro, immerso nel verde del Parco dei Pini, nella periferia bolognese silenziosa e residenziale, ogni anno posiziona il proprio focus estivo su un paese differente e questa volta la scelta è caduta sull’Iran. Cuore di Persia è il titolo della manifestazione che raccoglie un programma denso di spunti e occasioni: oltre al teatro, spazio al cinema, all’arte e alla musica. Nel foyer le fotografie di Tahmineh Monzavi accolgono il pubblico, protagonista della mostra All about me, Nicknamed Crown Giver è la figura femminile: donne senza paura, con una corona come copricapo, catturano lo sguardo attraverso occhi neri e profondi. Fotografie dal grande impatto visivo, in una grana quasi pittorica e dai contrasti molto evidenti, che all’autrice hanno creato anche problemi con la giustizia in patria.
Ma il centro di gravità della rassegna è stato sicuramente il Macbeth della compagnia di Teheran Max Theatre Group. Ecco, appunto, che ne sappiamo del teatro iraniano? Cos’è il teatro in un paese dove la legge vieta la danza? Alla luce di questo ci si aspetterebbe una messinscena shakespeariana verbosa oppure nella migliore delle ipotesi uno spettacolo di denuncia sulla condizione opprimente vissuta nei paesi islamici. Niente di tutto ciò, anche perché le denunce esplicite pure quando vengono mosse fuori dai confini rischiano di essere un boomerang al ritorno degli autori. Facile comprendere anche i carboni ardenti sui quali gli organizzatori italiani di Cuore di Persia hanno dovuto camminare.
Il gruppo guidato dal regista trentatreenne Reza Servati in questo spettacolo – prodotto sei anni fa e che viene segnalato come un vero e proprio caso di successo nella nuova scena iraniana – allestisce un Macbeth leggero nella densità drammaturgica e totalmente inaspettato nel taglio registico. La storia del barone di Glamis e della sete di potere che ossessiona la sua figura e quella della moglie si innesta qui in un immaginario decisamente horror: Macbeth e la celebre Lady sono recitati entrambi da uomini con le fattezze da vampiro. Mancano solo i canini allungati, ma i due protagonisti, che in questo modo appaiono anche l’uno come l’alter ego dell’altra, sono spettrali nella carnagione quanto nell’incedere fatto di inquietanti e minuscoli passi, nel volto emaciato e nella tipica calvizie che contribuisce ad avvicinarli al Nosferatu di Murnau. “Non morti” con un riverbero animalesco negli atteggiamenti: di tanto in tanto si sfidano, si annusano, si lanciano gridolini o terribili richiami gutturali; nella prima scena escono fuori da involucri tombali trasparenti, quasi a indicarci che questa condizione sia una sorta di inferno in vita nel quale debbono ripercorrere ogni giorno l’agonia, quel destino beffardo e immutabile.
Luci di tenebra, decapitazioni, feti sanguinolenti e un tappeto sonoro che spesso segue gli scatti e i movimenti anche minimi degli attori fanno piombare la sala bolognese nel luogo dell’incubo. Ma il taglio degli iraniani stupisce ancora: le streghe, come si sa motore scatenante della vicenda, che spesso vengono rappresentate come esseri soprannaturali qui invece sono tre clown in alta uniforme, trio comico dalle diverse fattezze fisiche.
Nella sua radicale bizzarria, che a tratti rischia il ridicolo, questo Macbeth è però anche sfoggio di tecnica attorale e di un meccanismo registico regolato ormai su parametri di grande precisione, qualità in grado di mettere in moto un dispositivo che (nonostante la lingua per noi sia una cantilena continua) tiene alta l’attenzione del pubblico durante tutta la durata.
Che ne sappiamo del teatro iraniano? Ancora niente, abbiamo però intuito che da quelle parti esistono artisti che destabilizzano i paradigmi guardando anche a culture pop, come nel caso di questo horror, attori con una padronanza vocale e fisica di primissimo livello: lì nel paese in cui è bandita la danza.
Andrea Pocosgnich
Luglio 2016, Teatri di Vita, Bologna
info Cuore di Persia
Macbeth
regia di Reza Servati
interpreti Babak Hamidian, Morteza Esmaeil Kashi, Behrouz Kazemi, Mehdi Mohammadi e Asghar Piran
produzione Max Theatre Group