È in corso la quattordicesima edizione di Kilowatt Festival dal titolo È tempo di risplendere. Il direttore artistico Luca Ricci delinea il progetto Be SpectACTive, vincitore del nuovo programma cultura 2014-2020 Creative Europe. Intervista
Partiamo dall’inizio, ovvero dagli sforzi che avete fatto per costituire la comunità di spettatori a Sansepolcro attraverso quello che voi stessi, in un’altra occasione, avete definito un vero e proprio «servizio sociale». Un passaggio significativo che dall’affrontare l’inadeguatezza delle istituzioni, vi ha portato ad essere capofila del Programma Cultura 2014-2020 Creative Europe col progetto Be SpecACTive.
Sì è uno sforzo e non si è mai concluso. Basta considerare il fatto che intorno a noi nella società vige una grandissima distrazione che si manifesta in una costante riduzione dello sforzo e della fatica. Ai Visionari – progetto di selezione di spettacoli affidata a un gruppo di cittadini e vincitore del Premio UBU 2010 ndr – chiediamo, non solo noi ma chiunque faccia il nostro mestiere dall’operatore all’artista passando per il critico, un continuo approfondimento, di non limitarsi alla superficie, accettando le domande e affrontando anche il rischio culturale. La comunità esiste ma deve essere alimentata e rilanciata. Sono molto soddisfatto di aver creato negli anni, assieme ai miei collaboratori, un gruppo di persone “golose” e aperte a questo genere di contenuti, articolando questo rapporto in maniera versatile e trasversale attraverso prove aperte e laboratori, ma anche percorrendo strade più innovative nell’ottica di una continua reinvenzione, come ad esempio invitare un artista a cena o i cosiddetti “pr teatrali”.
Soffermiamoci sui numeri: la data di avvio del progetto Be SpecACTive è stata il primo dicembre 2014. Il finanziamento europeo è di 1 milione e 750 mila euro da dividere in 12 soggetti partecipanti. I fondi serviranno a finanziare le seguenti attività: 34 gruppi di spettatori attivi in 8 città europee, la produzione di 21 nuovi progetti di spettacoli di teatro e danza, la concessione di 54 residenze creative, l’andata in scena di 153 spettacoli e la realizzazione di 4 conferenze. Questa progettualità come si traduce nella pratica di Be SpectACTive?
Come tutti i progetti europei su grande scala anche questo è cofinanziato, ovvero a noi partecipanti spetta da mettere il restante 50% del finanziamento complessivo. La parola chiave è innanzitutto “actor spectatorship”, secondo la quale lo spettatore deve ricoprire un ruolo attivo nei processi di progettazione teatrale. L’interazione che noi ci auspichiamo con la comunità avviene su tre livelli: il primo è quello del nucleo dei Visionari che è la base dalla quale siamo partiti e non vogliamo abbandonare; il secondo è relativo alla programmazione di 12 spettacoli articolati in 3 residenze e in un totale di 40/45 giorni di lavoro. È proprio durante il periodo di residenza che avviene l’interazione con la comunità locale e l’apertura a diversi target group di spettatori. Un esperimento al quale alcuni artisti si prestano con maggiore interesse e messa in discussione e altri meno, oltretutto sono contenuti non ancora finiti ad essere presentati. Vi è poi un ulteriore livello riguardante la produzione di 9 spettacoli dedicati esclusivamente alla danza e sviluppati in 2 residenze. In questo caso l’interazione con il pubblico avviene online attraverso una piattaforma in cui vengono condivisi materiali crossmediali messi a disposizione dagli artisti agli utenti, i quali vi si relazionano postando commenti o suggerimenti.
Potremmo definire questo un progetto glocal. Come hai affermato tu stesso: «creare senso di appartenenza alle attività culturali» in un orizzonte di internazionalizzazione. Come sta reagendo quindi la comunità locale degli spettatori a questa grande opportunità europea?
Il progetto che io ho scritto insieme alla manager culturale Giuliana Ciancio dimostra la particolarità della nostra condizione. Dobbiamo partire dall’assunto che la nostra è una pratica già avviata con Visionari e che con Be SpectACTive ha portato a un riconoscimento di esportabilità di un modello e di senso dell’operazione. La reazione non poteva essere che di orgoglio per aver costruito un modello che da un piccolo paese come Sansepolcro ha visto la sua applicabilità in vari contesti europei come quelli di Londra, York, Praga, Budapest, Zagabria… La sfida è tutta proiettata verso l’internazionalizzazione e all’innalzamento dell’asticella. Siamo arrivati a un buon punto se pensiamo che la prima edizione di Kilowatt Festival è stata finanziata con una cifra irrisoria (circa 2.000 euro) e senza l’inserimento di alcuno spettacolo internazionale.
Il precedente sindaco Daniela Frullani ha affermato, come riporta il comunicato stampa, che Be SpectACTive porterà «un’importante movimentazione economica nel settore culturale […] che si traduce in opportunità lavorative per i nostri giovani». Come direttore artistico del festival, hai già sperimentato tale “movimentazione” o la sua effettività è da analizzarsi più a lungo termine?
L’analisi delle ricadute economiche sul territorio è fondamentale e imprescindibile. Non possiamo pensare di essere relegati in un empireo dedito esclusivamente alla bellezza e all’arte. È evidente che nel momento in cui si opera in un territorio devi fare atto di tali questioni, che io considero molto stimolanti per il mio lavoro e per la comunità con la quale mi relaziono quotidianamente. A differenza di altri settori, quello teatrale è maggiormente sotto accusa e sempre soggetto a critiche in materia di erogazione di finanziamenti perché, diciamocelo, molto spesso vengono ritenute spese inutili. Le strategie attuate dunque, e a maggior ragione quelle di tipo economico, devono essere necessariamente inclusive anche e soprattutto sul piano finanziario. Con il sostegno europeo abbiamo potuto assumere due persone in più, dopo la vincita al bando il nostro sponsor ha avuto la possibilità di riservarci un investimento più solido; il finanziamento ci ha permesso inoltre di ospitare alcune compagnie straniere (sono 9 quelle inserite quest’anno in cartellone) e di allungare di due giorni la durata del festival. L’azione complessiva ha fatto un salto notevole, si è creato un circolo virtuoso che ha permesso alla comunità di rifiorire.
Parlaci più nello specifico della selezione dei due spettacoli facenti parte del progetto e presentati in queste sere in anteprima nazionale: Kamyon di Micheal De Cock e Walking on the moon di CK Teatro.
La modalità di selezione degli spettacoli è impostata sulla scelta di tipo collegiale, ricalcando i modelli di una democrazia partecipata. Ciascuno dei direttori artistici presenta la propria rosa di progetti che saranno scelti all’interno dell’assemblea. Non è detto che si portino in discussione soltanto spettacoli appartenenti alla propria nazionalità, anzi è auspicabile che siano presi in esame lavori diversi e provenienti da esperienze straniere, all’insegna di uno scambio e conoscenza reciproca. Dopo la residenza a Sansepolcro, a York e poi a Budapest e Zagabria, lo spettacolo Walking on the moon di CK Teatro vedrà il suo debutto nel mese di novembre. Come possiamo intuire dal titolo, il tema è l’allunaggio del ’69 come evento che segna e sconvolge l’immaginario delle persone (determinante ai fini di un discorso sulla partecipazione degli spettatori); il lavoro da svolgere con il pubblico sarà proprio quello della creazione di un film costituito dalle memorie degli spettatori. Lo spettacolo infatti è stato realizzato con la tecnologia 3D immersive e – in riferimento alla vicenda dell’astronauta Micheal Collins che non mise i piedi sul satellite per rimanere al comando del Modulo di Sicurezza – ha come obiettivo proprio quello di portare gli spettatori in un viaggio sulla Luna. Il secondo lavoro, Kamyon, è stato invece proposto dai partner sloveni ed è dell’artista/giornalista belga Micheal De Cock. Lo spettacolo è ambientato in un camion ed è riservato a 45 spettatori alla volta, anche loro, come nel caso di CK Teatro, vengono condotti nel viaggio virtuale dei tanti che vivono il dramma dell’emigrazione. Sicuramente una memoria meno piacevole e fortunata ma più vivida e attuale. Kamyon vede la partecipazione di un’attrice diversa a seconda del paese che lo ospita, nel caso dell’Italia sarà Alice Spisa a essere protagonista. Il pubblico è nuovamente parte integrante e fondamentale di Kamyon, spettacolo che sarà di volta in volta modificato dall’incontro con le realtà del territorio di Sansepolcro che lavorano coi migranti.
Arriviamo al titolo di questa edizione: È tempo di risplendere, tratto dal verso della poetessa Amelia Rosselli. In questi tempi, come si risale la china e si torna a splendere?
Credo che l’arte debba avere non solo la funzione di fotografare il tempo ma anche di indicare delle prospettive future. Con Lucia Franchi, mia compagna di vita e di lavoro in tutti questi anni di festival, abbiamo sempre cercato di immergerci nella condizione attuale. Al di là della bellezza musicale di questa frase, è implicito nella scelta il volersi affidare a chi conosce il valore delle cose, a chi pensa, scrive e lavora bene. Da qui deriva anche la fotografia di Mario Giacomelli: un nero scurissimo trafitto da una luce potente, a ribadire che ogni epoca è sì fatta di luci e ombre ma anche di percezioni. Inoltre, voglio precisare, è avvenuta una sinergia involontaria: sia il verso che la fotografia scelti sono stati creati rispettivamente nel ’59 e ’62, un periodo quindi fertile di idee e di rinnovamento e speriamo che questa scelta possa essere di augurio.
Lucia Medri
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