Babilonia Teatri conquista il Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2016 e innesca così riflessioni sulla nuova generazione dell’arte scenica in Italia
Se ce l’avessero detto anni fa, quando li si andava a vedere nelle periferie nascoste degli spazi sociali, avremmo preso chiunque per pazzo a dire che Babilonia Teatri – Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Luca Scotton e tutti gli altri che in questi anni ne hanno fatto parte – nel 2016 avrebbe avuto il Leone d’Argento dalla Biennale di Venezia, per la carriera svolta, con ancora molti e molti anni di fronte. Eppure ieri, nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, la compagnia della provincia veronese ha avuto il riconoscimento (Leone d’Oro invece all’inglese Declan Donnellan) per l’attività compiuta dalla sua data di fondazione, quel 2005 in cui si iniziava a prendere coscienza del segno degli anni zero, quelli senza numero davanti, da inventare e sostenere con un pericolo di dispersione aggravato dalle difficoltà in cui molti artisti nascenti si scoprivano a dover lavorare.
Babilonia Teatri è il teatro della nostra generazione. Non i soli, certo, ma ci si accorse presto che avrebbero saputo rappresentare il nostro tempo con i nostri stessi occhi. Ne fu un esempio evidente un testo piuttosto nascosto, ascoltato in voce off sul palco del Teatro Argentina a Roma per il progetto Wake up!, dedicato alla primavera araba; Maledetta primavera, firmato da Castellani e recitato da Valeria Raimondi, conteneva l’inseguimento delle notizie dei fatti occorsi all’altra parte del mondo, altra parte di noi, e la necessaria, naturale, estraneità da cui nessuno può dirsi salvo. Quel sentimento bifronte, lasciato a insinuarsi dentro gli spazi assenti del rassicurante corpo che narra, fu la voce più diretta (a dire il vero insieme al lavoro molto simile dei pari età Muta Imago che confluì poi in Pictures from Gihan) del sentimento comune, di cui oggi scontiamo l’inevitabile giro di boa; Babilonia Teatri aveva inteso cosa ci fosse nei venti/trentenni, coetanei degli stessi che dai social network gridavano e si adunavano nelle piazze della rivolta; E noi? Sembravano dirci: noi che parte abbiamo in quella rivolta? Cosa conta il loro dolore nel nostro quotidiano storto e malmesso? Tra differenza e indifferenza, il loro monito era assieme un grido poetico uguale e contrario che da Occidente si riversava fin dentro le assemblee, le case, le città in tumulto.
Ecco, avessi dovuto scrivere io una motivazione (qui quella ufficiale) per il loro premio, forse l’avrei presa da lì. Ma mi sa quasi solo io l’ho visto. Ed è questo il punto: da un’istituzione internazionale come la Biennale di Venezia arriva uno schiaffo piuttosto umiliante, pur nascosto nell’opportuna soddisfazione per un merito mai in discussione; agli operatori e al pubblico di questo paese viene consegnato il nome di una compagnia che pochi davvero hanno seguito dall’inizio fuori dall’ambiente militante, il solo ad avere a cuore una continuità della loro evoluzione, cui pochi hanno poi concesso un sostegno oltre l’età ancora giovane. Lo stesso David è morto, il più recente lavoro ben prodotto dal Teatro Nazionale del Veneto ed ERT, ha avuto modo di girare solo per i festival e gli spazi confinati per la sperimentazione teatrale, quindi lontano da una trasversalità di pubblico in grado di valutare la ormai innegabile presenza di Babilonia Teatri fuori dal ghetto, come oggi la Biennale dichiara.
Ma se questa disparità tra il giudizio dell’ambiente internazionale e la percezione nazionale è un dato in negativo su cui riflettere, c’è qualcosa che dà orgoglio a un’intera generazione in questa vittoria. Che si tratti di artisti, di operatori, di critici, questo risultato è il frutto di un lavoro sotterraneo che recuperasse la qualità di una relazione in precedenza sfibrata di senso attraverso pratiche non sempre limpide, è la prova che forse ce l’abbiamo fatta a rimarginare una ferita e costruire un rapporto fertile, un patto di reciprocità maturo e durevole.
Nella motivazione si legge: «con questo premio vogliamo valorizzare e ringraziare in particolar modo il loro lavoro ma anche tutte quelle compagnie e quegli artisti che ogni giorno si svegliano per dare il meglio di sé a persone più bisognose. Perché sono necessari al mondo del teatro. Perché sono necessari al mondo». Quest’ultima frase, “necessari al mondo”, è il punto da cui non si deve tornare indietro: Babilonia Teatri è alla Biennale in nome di una generazione costretta alla perenne adolescenza, che sta diventando vecchia senza essere mai stata adulta, che chiede ascolto e mezzi concreti, chiede sia messa a valore una presenza non solo in termini di sostegno di produzione, ma anche di riconoscibilità artistica nella storia del teatro che si sta delineando in quest’epoca, di rilevanza culturale oltre i confini smangiucchiati di un settore marginalizzato e costretto a regredire. Teatro chiama mondo, rispondete!
Simone Nebbia