Il nuovo lavoro di Vico Quarto Mazzini prende le mosse da un dramma di Ibsen per raccontare il disgregamento dell’Europa contemporanea. Recensione
L’Europa che abbiamo creato non ci piace. Neanche un po’. È figlia di un’unione monca, non sincera, piena di egoismi e di colpevoli incurie. È deforme, zoppicante, resa sempre più fragile dall’insorgere di nuove escrescenze, arranca da un lato all’altro dello scacchiere mondiale ed emette, mai come ora, vagiti inquietanti. Bisogna tenersela, ma nessuno la vuole. Bisogna nutrirla, ma molti, in sogno o in veglia, la desiderano diversa, più sana, più autonoma, più calma, più normale.
De Il piccolo Eyolf, dramma di Henrik Ibsen datato 1894, resta poco o niente nel radicale (e come sempre coraggioso) adattamento di Vico Quarto Mazzini. Restano le figure dei due genitori (Michele Altamura e Gemma Carbone), resta un figlio menomato, che non si chiama Eyolf ma Europa. Resta l’ossessione del padre di scrivere un trattato filosofico sulla Responsabilità Umana. Il resto evapora in una messinscena quasi senza testo, sulla quale impera la voce fuori campo di un narratore, che descrive antefatti, fatti, epilogo e morale.
Dopo cinque settimane di ritiro in Italia a casa di «mammà», il padre torna in Svezia, dove ha sposato una donna ricca e totalmente devota a lui e alla sua pigra ricerca intellettuale. Ma l’esilio ristoratore non è stato sufficiente: appena rientrato nella sua casa borghese si sente oppresso da una grigia normalità, che gli toglie il fiato. La festa di bentornato – animata da isterici scambi di battute in svedese e in inglese – finisce quasi in tragedia, al punto da spingerlo a fare i bagagli e partire. Ma il trambusto ha svegliato il piccolo Europa, che appare (sotto il trucco deforme c’è un efficace di Gabriele Paolocà) claudicante dal fondo. Quasi un omaggio all’Elephant Man di David Lynch, Europa ha il corpo coperto di malformazioni e piaghe; non parla, ma emette gemiti gutturali, non afferra ma strattona, non accarezza ma schiaffeggia. Il bordone insopportabile dei suoi lamenti fa da colonna sonora a una disturbante scena di accudimento, in cui i due genitori tentano di ristabilire le priorità della coppia. Ma senza successo. Il padre lascerà la casa e la madre farà lo stesso, lasciando Europa solo e abbandonato nei suoi stessi umori, perso in un delirante sogno dove un’efficiente Mary Poppins si prenderà cura di lui. Persino il sogno si trasforma in incubo. Europa, infuriato, esce nel mondo, quel mondo che non lo ha mai voluto e che si ritroverà, nell’apocalisse finale, appestato da un’aria irrespirabile.
Se in Sei personaggi in cerca d’autore questo giovane ma tenace gruppo di artisti aveva dimostrato di saper gestire il gravoso incarico di una messinscena pirandelliana con un’ormai consueta dose di folle ironia, questa volta le ambizioni non riescono del tutto a essere domate. Per quanto encomiabile sia lo sforzo di scarnificare il dramma di Ibsen lasciando solo il torsolo della parabola e trasformandolo in un cupo apologo sul disgregamento dell’Europa, certe scelte di regia mettono seriamente a repentaglio la consegna del messaggio. La scena naturalista viene investita da fari acidi e troppo netti cromaticamente, che svelano per intero le sembianze mostruose del bambino, di gran lunga più inquietanti alla sua prima apparizione, illuminata solo da un controluce. Così come la persistenza della voce off (eliminata nella replica successiva per il Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari), pur coerente con un’azione che sfrutta quasi solo mimica e movimento scenico, finisce per sottolineare eccessivamente certi passaggi della storia che sarebbe meglio lasciare in dono all’intuizione dello spettatore, per non sporcarli con la didascalia e dunque con la retorica. È bene precisare, tuttavia, che abbiamo assistito all’anteprima tenutasi al Teatro dei Rozzi di Siena (nel contesto di In-Box dal vivo 2016) – uno spazio non del tutto adatto a questa messinscena – e che dunque queste note non danno conto di eventuali modifiche apportate in vista del debutto nazionale a Primavera dei Teatri a Castrovillari (31 maggio 2016).
Ingegnosa è la scelta drammaturgica e occorre sempre premiare quelle scelte che mirano a non cristallizzare la ricerca di un gruppo artistico su un unico, accomodante, linguaggio. Paolocà e Altamura, che firmano la regia, hanno ancora ottime opportunità di affinare i contorni di questa riflessione, che potrebbe trovare una facile via verso palcoscenici europei, sia per le tematiche trattate che per il generale impianto performativo.
Sergio Lo Gatto
Teatro dei Rozzi, Siena – maggio 2016
LITTLE EUROPA
regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà
con Michele Altamura, Gemma Carbone, Gabriele Paolocà, Maria Teresa Tanzarella
liberamente ispirato a Il piccolo Eyolf di Henrik Ibsen
produzione TRIC Teatri di Bari, Associazione culturale Gli Scarti, VicoQuartoMazzini
con il sostegno di Straligut Teatro, Corte Ospitale, FuoriLuogo, Jobel Teatro
compagnia Vico Quarto Mazzini