Termini Underground, Black Reality 2016 e Gin e Paolo: una leggenda metropolitana. Percorso negli strati sociali off del teatro romano.
«Si parla spesso di migrazioni e di seconde generazioni posizionandone la problematica in ambito sociale, invece che in ambito culturale; ma io, studiando un po’ di sociologia, so che la cultura si muove con le nuove generazioni». A dirlo è Jean Hilaire Juru, il giovane rapper ruandese, uno dei due presentatori di Mixed Culture Contest All Style con i ragazzi dei laboratori di Termini Underground, progetto che da anni porta avanti nella Stazione Termini di Roma laboratori di danza, teatro e musica aperti a tutti. È l’ultimo degli spettacoli che vedo questa settimana, allo Spazio Diamante, in quella che inizia ad essere la Roma dei tram e degli autobus che imprimono, nella compressione dei corpi, la cultura e la società urbana di oggi, in quelle periferie del corpo cittadino che possono essere le prime a morire ma anche le prime a dare segni di vita. La rassegna Percorsi migranti di Termini Underground arriva dopo la vittoria del bando MigrArti, diffuso dal Mibact lo scorso novembre, al quale il Teatro Sala Umberto ha partecipato come capofila. Angela Cocozza, coreografa qui in vesti di organizzatrice, lascia la parola agli insegnanti, immigrati di prima o seconda generazione come i ragazzi. Poi la serata prende il sopravvento, in un gruppo che non promuove una “mixed culture” per imposizione ma per posizione. Stazione Termini. Roma. Europa. Così l’arte continua ad essere autoanalisi culturale di una regione, in un teatro sociale non inteso come assistenzialismo e pietismo dove il migrante, il carcerato, l’handicap, il disagio giovanile legittimano l’opera e la rendono artistica in quanto processo meritorio stimato socialmente. Ma teatro “sociale e culturale” in quanto opera in cerca di bellezza, lì dove i protagonisti quella bellezza possono e vogliono esercitare.
In un periodo storico in cui il settore del sociale è paradossalmente divenuto un rilevante “mecenate” teatrale, forte è l’esigenza e la responsabilità di riposizionare questo teatro praticato nelle zone della ricerca più fervida, la ricerca di senso della vita; ora che un gran numero di artisti e di operatori sociali si approcciano al teatro come strumento educativo in risposta a bandi e possibilità lavorative, è da eludere il rischio che il teatro sia opera sociale e di visibilità per gli operatori più che per i destinatari.
Lontani, quindi, da quel fermo immagine, in quanto opera che non muove, che purtroppo si ritrova in un esperimento come quello della Compagnia Bakwè ospite al Teatro Furio Camillo all’interno della rassegna Black Reality 2016 Esploratori di confini. Lo spettacolo Tracce migranti è la fotografia di un teatro che giustappone il migrante a una “regia” che poco ha a che fare con lui, con i bongo addomesticati alle canzoni popolari e le storie dei protagonisti aggiogate dal canto e dalla recitazione dei due registi.
È facile cogliere il contrasto fra la noia degli interpreti in scena nel Teatro Furio Camillo, e la potenza espressiva nello Spazio Diamante. È un peccato, perché sui tre spettacoli della rassegna Black Reality è sicuramente l’unico fuori mira. Il nero sta bene su tutto di Gianluca Riggi e Flavio Ciancio — risultato del laboratorio teatrale tenuto con il centro Staderini — attenta alla tranquillità sopita dello spettatore con il racconto della migrazione via mare di uomini spogliati della propria umanità da chi li accoglie, restituendole autenticità tramite gli interpreti che quel percorso lo hanno tracciato davvero; la scelta è semplice ma forte, l’impatto visivo è ben riuscito, provocatorio, primo importante processo di sublimazione nell’arte, da usare come spinta per riuscir poi a raccontare altro.
Occhio per occhio e il mondo diventa cieco è il terzo spettacolo del progetto Black Reality, Officina di Teatro Sociale della Regione Lazio, idea e regia di Valerio Gatto Bonanni. Da promuovere la prima esperienza di una compagnia nata dai laboratori ed ora interamente prodotta, in un percorso di formazione che porta alla professionalità teatrale, con i tre attori Edilson Araujo, Mohamed Kamara, Boutros Popos, che dimostrano di volere e poter raccontare molto, con il corpo, con i visi, con le parole. Forse lo spettacolo andrebbe piegato più su un pubblico giovane, così da veicolare meglio la leggerezza di una clownerie che non si articola in maniera complessa, ai danni di una drammaturgia che dunque fallisce il salto di qualità. Probabilmente la rassegna potrebbe esplicitare ancor di più il processo che porta poi alla rappresentazione, introducendo al pubblico gli spettacoli, così che un progetto del genere possa essere anche nella condivisione con il territorio officina sociale.
Altro punto, quindi, l’impostazione professionale e la qualità artistica da investire in progetti del genere: che strumenti dare, quanto si può riuscire a tirar fuori? Inutile dire che la crisi e il disagio della mente e del corpo appartengono al teatro, e i limiti degli interpreti non sono tali perché contengono orizzonti inesplorati. Lo sanno bene Enoch Marrella, Stefania Carsiviglia e Giovanni Dessena (drammaturgia, coreografia e direzione artistica) che riescono a portare fuori (Roma) anche me, sulla Nomentana oltre il Grande Raccordo Anulare, in una struttura immersa tra i campi, dove vedo Gin e Paolo: una leggenda metropolitana, risultato dei laboratori artistici con i ragazzi della A.P.S. “Il Fiore del Deserto”, adolescenti che hanno avuto una vita meno semplice di altri. Gin e Paolo è un altro testimone chiaro di come l’arte e il teatro possano lanciare i protagonisti, a fianco agli operatori, attraverso una ricostruzione narrativa dell’io passando per il processo evolutivo della messa in scena. Colpiscono l’approccio professionale, la qualità musicale e canora delle ragazze, la sperimentazione coreografica e la ricerca di senso della drammaturgia; i ragazzi in scena segnano la propria presenza costantemente, non c’è sospensione tra l’intenzione e l’esecuzione. Il giardino del Fiore del Deserto – pieno di gente – è comunità e spazio teatrale allo stesso tempo, in cui i ragazzi, aiutati, trovano la voglia di sporgere lo sguardo oltre i limiti, loro e nostri, sociali e culturali.
Luca Lòtano
MIXED CULTURE CONTEST ALL STYEL
RASSEGNA PERCORSI MIGRANTI
spettacoli di danza a cura di Angela Cocozza per Alì onlus/Termini Underground
con Woody Helen, Sonny Olumati, Shea 99
presentatno Juru e Giò Di Sera / Street UniverCity Berlin
protagonisti 50 dei tanti ragazzi di ogni nazionalità che hanno frequentato i laboratori
BLACK REALITY 2016 V EDIZIONE
IL NERO STA BENE SU TUTTO
a cura di Gianluca Riggi e Flavio Ciancio
con la collaborazione di Carlo Gori, Elena Garrafa, Paola Di Sabatino
protagonisti gli uomini e le donne del Centro Staderini
Black Reality officina di teatro sociale della Regione Lazio
OCCHIO X OCCHIO E IL MONDO DIVENTA CIECO
idea e regia di Valerio Gatto Bonanni
aiuto regia Francesca De Magistris, Azzurra Lochi e Federico Vanich
con Edilson Araujo, Mohamed Kamara, Boutros Popos
scrittura scenica collettiva
produzione SemiVolanti officina di teatro sociale della Regione Lazio
TRACCE MIGRANTI
Compagnia Bakwè
liberamente tratto dal libro di Mauro Biani
GIN E PAOLO: UNA LEGGENDA METROPOLITANA
a cura della A.P.S. “Il Fiore del Deserto”
da un’idea di Vittoria Quondametteo
drammaturgia Enoch Marrella
coreografie Stefania Carvisiglia
arrangiamenti Marco Iacobone e Errico Girometta
narrazione Davide Catallo
laboratorio d’arte Roberta Marrapodi e Loredana Alicino
direzione artistica Giovanni Dessena