Il sottotitolo della Biennale Danza di quest’anno senza lo spazio il mio corpo nemmeno esisterebbe è tratto dal testo La fenomenologia della percezione del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty.
Nel contesto della Biennale Danza 2016 è in corso un laboratorio di redazione intermittente a cura di Massimo Marino e Lorenzo Donati (Altre Velocità), che sta raccontando il festival con contenuti esclusivi. Ospitiamo qui alcuni contributi della nostra collaboratrice Gaia Clotilde Chernetich sul rapporto tra la danza e il pensiero del filosofo Maurice Merleau-Ponty.
Questo articolo è apparso sul blog La danza nella città 2016, per gentile concessione.
Uno dei maggiori esponenti della fenomenologia e dell’esistenzialismo del Novecento insieme a Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre e altri intellettuali degli anni Quaranta, Maurice Merleau-Ponty è nato nel 1908 ed è morto a Parigi nel 1961.
I suoi scritti fondamentali sono: La struttura del comportamento (1942), La fenomenologia della percezione (1945) e Il visibile e l’invisibile (1979), pubblicato dopo la sua scomparsa.
«La fenomenologia della percezione» è uno dei primi studi – forse il primo – in cui il corpo è posto al centro della trattazione in una posizione strutturale, decisiva. Considerato come un “a priori”, per Merleau-Ponty il corpo è la struttura originaria, condizione necessaria che rende possibili tutte le successive significazioni.
Dal punto di vista analitico, nella prima parte del suo testo più importante, il filosofo francese si concentra sulla nozione di “schema corporeo”. Il corpo, insieme indivisibile di organi e funzioni sensoriali, percettive e motrici, è sistematicamente coerente nella sua unità (Phénomenologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945), questo significa che il corpo è un a priori dal punto di vista ontologico e funziona come una Gestalt, cioè una forma indivisibile. Non si tratta, tuttavia, di un corpo inteso come “corpo chiuso”, poiché esso si apre all’esterno attraverso l’esperienza.
In un certo senso, per Merleau-Ponty il corpo possiede il mondo pur essendone compreso, e proprio attraverso il suo être au monde accede alla conoscenza. In questo caso, la lingua francese aiuta la comprensione del concetto, laddove l’uso della preposizione à indica l’appartenenza a qualcuno o qualcosa (per esempio: questo libro è mio / ce livre est à moi). In questo modo, “essere al mondo” prende un doppio significato: quello immediato di essere al mondo, cioè in vita, e quello di appartenervi in quanto “essere del mondo” come diretta conseguenza.
Nell’ambito degli studi sulla danza, insieme a quello di altri filosofi come Claude Lévi Strauss, Marcel Mauss, Henri Maldiney e altri, il pensiero di Merleau-Ponty è spesso preso in considerazione da studiosi e coreografi come riferimento per quanto riguarda un certo modo di guardare al corpo e alle sue proprietà percettive e di movimento. Eppure, in un articolo pubblicato nel 2012 sulla rivista francese Recherches en danse la studiosa Paule Gioffredi ha constatato come in realtà negli scritti del filosofo francese la danza non sia, di fatto, mai menzionata. È probabile che questa affinità elettiva tra il mondo della danza e Maurice Merleau-Ponty sia dovuta al fatto che la fenomenologia della percezione ben si adatta alle necessità epistemologiche della danza contemporanea, dove la percezione e la mobilità di una certa idea di corpo sono centrali.
Per Biennale Danza 2016, la citazione di Merleau-Ponty diventa un chiaro richiamo alla Biennale Architettura che si svolge in contemporanea negli spazi dell’Arsenale. A mettere in luce la coesistenza virtuosa di corpi e spazi in dialogo costante, la danza dimostra di poter essere oggi, ancora di più, strumento di conoscenza.
Gaia Clotilde Chernetich