Alla Biennale Danza 2016 approda Levée des conflits di Boris Charmatz trasmesso ai danzatori dai coreografi Magali Caillet-Gajan e Olivia Grandville. Recensione
Nel contesto della Biennale Danza 2016 è in corso un laboratorio di redazione intermittente a cura di Massimo Marino e Lorenzo Donati (Altre Velocità), che sta raccontando il festival con contenuti esclusivi. Ospitiamo qui alcuni contributi della nostra collaboratrice Gaia Clotilde Chernetich su levée des conflits di Boris Charmatz trasmesso ai danzatori dai coreografi Magali Caillet-Gajan e Olivia Grandville.
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Questo articolo è apparso sul blog La danza nella città 2016, per gentile concessione.
È il 2010 quando il coreografo francese Boris Charmatz crea Levée des confilits, una danza per 24 danzatori e 25 movimenti. Della creazione di sei anni fa, La Biennale Danza 2016 ha offerto al pubblico la possibilità di assistere a una versione diversa dello stesso spettacolo: nella sala delle Colonne di Ca’ Giustinian e in campo S. Angelo Levée des conflits è stato restituito al pubblico da una vera e propria polis di danzatori, amatori e professionisti, impegnati in uno dei programmi di formazione della Biennale College di quest’anno.
Inserita nella sezione del festival chiamata Agorà – sezione che prevede una doppia occasione performativa, una all’aperto e una al chiuso – la coreografia di Boris Charmatz è stata trasmessa al nuovo gruppo di danzatori da Olivia Grandville e Magali Caillet-Gajan. Così, una trentina di interpreti – un gruppo misto non solo per statuto professionale ma anche per età – si sono misurati con i venticinque movimenti di cui è composta la coreografia.
La particolarità del lavoro, sia nella sua versione teatrale che in quella presentata a Biennale Danza, è quella di permettere allo spettatore di assistere a una performance durante la quale tutte le sezioni di movimento di cui è composta possono essere potenzialmente danzate, tutte, nello stesso istante.
Nella sala delle Colonne, il gruppo impegna lo spazio restituendo al pubblico seduto lungo il suo perimetro una danza che è occasione meditativa, un moltiplicarsi di individualità che ritrova un principio di unità proprio attraverso una conoscenza condivisa e comune del gesto.
Per i danzatori, la particolarità di questo tipo di trasmissione coreografica risiede nella possibilità di arrivare al momento della performance dopo aver attraversato diversi stadi intermedi di conoscenza che vanno dal sapere individuale a quello collettivo senza che una dimensione prevalga mai sull’altra. È solo nel momento dello spettacolo che queste due dimensioni, pur restando fuse nella stessa unità e incarnate nei corpi in maniera indistinguibile, si sfasano, lasciando affiorare in primo piano l’aspetto della visione, a favore di osservatori che così hanno modo di leggere gli stessi movimenti su diverse tipologie di corpi danzanti.
Nell’arco della sua durata, la coreografia si dispiega grazie a quella lieve disparità tra il numero di gesti e il numero degli interpreti che, non potendo mai coincidere, genera continuamente una rottura dell’unisono e, di conseguenza, nuove sequenze coreografiche.
Lo sguardo dello spettatore è allora libero di rincorrere nello spazio la diversità dei corpi che danzano, potendo allo stesso tempo ritrovare in ciascuno dei performer un filo conduttore gestuale, un’istanza collettiva condivisa che è presente non solo nella fredda conoscenza teorica e mnemonica della partitura coreografica, ma anche e soprattutto nel calore e nella diversità della sua messa in scena.
“La sospensione del conflitto” – possibile traduzione del titolo della creazione di Boris Charmatz – è il modo in cui Roland Barthes definisce il neutro, non il neutro inteso come definizione di uno standard, ma come desiderio di sospensione da una condizione di disparità e di contrapposizione. L’idea di Charmatz, probabilmente, non è quella di consegnare alla danza la possibilità di essere una neutra utopia, ma un sistema di gesti neutro – non conflittuale – di essere e di stare insieme.
Gaia Clotilde Chernetich