La IV edizione del festival Trasparenze, ideato e organizzato dalla compagnia Teatro dei Venti di Modena, parte quest’anno dalla suggestione di Moby Dick e va in cerca del suo rapporto con la città. Uno sguardo
I festival (quelli estivi ma non solo) sono una forte caratteristica del nostro paese. Molti di essi sono un’opportunità per gli artisti indipendenti di mostrare il proprio lavoro di fronte a un pubblico diverso da quello delle stagioni convenzionali, tutti sono un’occasione per la comunità teatrale di incontrarsi, discutere, litigare o immaginare progetti. In un sistema così frammentato in geografie produttive e distributive e, oggi, drammaticamente sotto la pressione di scarse economie, i festival possono tramutarsi in strategiche camere di ragionamento. Trasparenze esiste e resiste a Modena da quattro edizioni, nato e condotto da Agostino Riitano e Stefano Tè e in seno a quel tenace Teatro dei Venti. Compagnia, quest’ultima, agguerrita e solida, molto impegnata in un teatro che, dirà Armando Punzo invitato a discutere con Cristina Valenti attorno ai Quaderni di Teatro Carcere, «non è sociale»: se il progetto Angeli e Demoni sulla Gerusalemme Liberata dimostrava come il lavoro con i detenuti sia puntato innanzitutto alla creazione di una realtà altra, anche questo piccolo festival pare seguire la stessa metodologia.
Abbiamo avuto modo di visitarlo per la prima volta quest’anno, durante gli ultimi due giorni di programmazione. Circondata di luci, manifesti e palchi, l’area ricavata nel cortile della sede della compagnia somiglia a uno di quegli avamposti di sosta ai margini dei villaggi di pescatori in Grecia o in Corsica. Uno spazio che accoglie e raccoglie, zona adibita al ristoro non solo dello stomaco ma anche del cervello, dove ci si ferma a mangiare o a commentare questa o quella attività, si entra in una Cinquecento gialla parcheggiata sul prato per assistere a brevi pezzi di videoarte. Oppure, di vintage in vintage, sotto a un albero ci si può sedere in poltrona e consegnarsi alle mani di un barbiere, reclutato apposta per offrire il servizio gratuito a chi abbia la pazienza di mettersi in fila.
Ma, come la punta di un iceberg o il dorso della balena che dà l’immagine a questa quarta edizione, l’ “atelier” non è l’unica attività a portare il nome di Trasparenze. Il recente riconoscimento provenuto dalla Regione Emilia Romagna come erogatore di residenze è solo la conferma di una metodologia già da subito, e in modo chiaro, improntata non solo alla programmazione, ma alla creazione e al dialogo. Le residenze, lo sappiamo, sono il pane di cui si nutrono i progetti indipendenti, un nutrimento basilare che non deve mancare; quanto al dialogo, è bello, tra navette, sale e tavoli della cena, vedere aggirarsi i ragazzi della Konsulta, un gruppo di under 25 che dal 2012 affianca la direzione artistica nel disegno del programma.
Programma che non possiamo qui commentare nel suo complesso, ma del quale negli ultimi due giorni abbiamo notato la pacata potenza di H+G (cui abbiamo dedicato qualche riga a parte) e osservato con curiosità Vania, la riscrittura di Zio Vanja a opera di Oyes. Ingegnoso nel disegno dei caratteri e qua e là sorprendentemente crudele nelle atmosfere, il dramma rilegge l’inerzia e l’indolenza della campagna čechoviana con l’occhio della provincia italiana, con un “Herr Professor” ormai in coma (la consolle di regia diviene il suo capezzale) e Astrov e Vanja amici di un’infanzia di bravate da osteria. Manca purtroppo una regia che abbia il polso di variare il ritmo, proponendo altro oltre alla bella tensione dei silenzi, che se reiterata rischia di invecchiare presto e di intorpidire l’attenzione.
Il gioco al massacro messo in scena in Dopodiché stasera mi butto è l’allegoria con cui Generazione Disagio interpreta le aporie contemporanee: problemi occupazionali ma, sembra voler dire lo spettacolo, esistenziali. Il format che fa il verso alla TV spazzatura dei talent show è stato usato negli anni da diverse compagnie, una su tutte Teatro Sotterraneo, in grado di affilare certe punte di cinismo efficaci però perché intrise di un approfondimento culturale. Scarto che non sempre questo lavoro riesce a compiere, nonostante l’ottimo dispendio di energie degli attori (Enrico Pittaluga, Luca Mammoli, Graziano Sirressi e Andrea Panigatti: precario, studente e stagista che nella follia di questo gioco dell’oca si prestano a vessazioni) e qualche trovata realmente divertente, qua e là graffiante. Ottima, comunque, la risposta del pubblico, invitato a partecipare a una lapidazione con palline di plastica.
Un festival ancora fresco è Trasparenze, forse ancora in cerca di identità, ma che di “trasparente” ha una grande semplicità di fattura e la consapevolezza che un tale evento deve da un lato ancora trovare il modo di smarcarsi dalla competizione con un colosso come l’ERT, dall’altro andare ancora più a fondo fra gli strati del territorio. Lo si fa se mai ci si accontenta della comunità raggiunta ma invece si punta ad allargarla, trovando il modo per invadere anche il centro della città con proposte che diversifichino il target. Se l’immagine guida di quest’anno rimanda a Moby Dick, ci piace immaginare che la balena non schivi gli arpioni e cavalchi la sfida di farsi luogo, come scrive Marco Martinelli, per porre le domande di tutto un territorio.
Sergio Lo Gatto
Trasparenze Festival, Modena, maggio 2016.
VANIA
ideazione e regia Stefano Cordella
con Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso, Fabio Zulli
drammaturgia collettiva
costumi e realizzazione scene Stefania Coretti, Maria Barbara De Marco
disegno luci Christian Laface
organizzazione Giulia Telli
con il sostegno difUnder 35
produzioneOyes
DOPODICHÉ STASERA MI BUTTO
di e con Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi, Alessandro Bruni Ocaña, Davide Palla
regista e co-autore Riccardo Pippa
disegni Duccio Mantellassi e Niccolò Masini
produzione Proxima Res
Premio GIOVANI REALTÀ DEL TEATRO 2013
Menzione speciale Premio SCINTILLE 2013 di asti teatro 35
Menzione speciale Premio nazionale INTRANSITO (Teatro Akropolis 2013)