Al Festival Trasparenze di Modena arriva H+G di Alessandro Serra, un nuovo Hänsel e Gretel realizzato con l’Accademia Arte della Diversità di Bolzano. Recensione
I Fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, linguisti e padri della germanistica, non scrivevano fiabe, ma avevano affinato alla perfezione l’arte di ascoltarle. E di trascriverle. La prima edizione delle Fiabe (1812) funge da ponte tra la cultura popolare e quella borghese, grazie anche a certe piccole o meno piccole modifiche apportate a trame e personaggi. Come in ogni tradizione orale, si procede per archetipi e simboli e con le fiabe si ha a che fare con un’intricata foresta di segni incaricati, al contempo, di tramandare usanze, istituire dogmi, creare codici morali e perfezionare un culto, religioso o pagano che sia. Certo è che ogni tentativo di normalizzazione allontana le istanze fondamentali di una narrazione collettiva.
Il percorso compiuto dal regista Alessandro Serra nel pensare un nuovo Hänsel e Gretel sembra voler rivendicare proprio una dimensione primordiale. Il suo H+G, visto alla quarta edizione del Festival Trasparenze (diretto a Modena da Stefano Tè del Teatro dei Venti) e frutto di una collaborazione tra Teatro La Ribalta di Bolzano / Accademia Arte della Diversità e Teatropersona, prova a ripartire quasi da zero. Come già questo regista aveva mostrato in altri lavori (pensiamo in particolare a Il trattato dei manichini), la parola stessa è ridotta a scarno segno sonoro, scelta che in questo caso riesce a sgombrare il campo dal primo e più ingombrante degli interventi normalizzanti: la traduzione in racconto.
Disposto il pubblico su due spalti che si fronteggiano, Serra distribuisce l’azione in un corridoio coperto di lastre di acciaio che fanno risuonare i tacchi delle scarpe e il piccolo tonfo dei sassolini che, almeno per la prima volta, salvano la vita ai bambini indifesi, riportandoli a casa. Da un lato l’uscita verso le quinte, dall’altro solo un foglio d’acciaio che vibra emettendo brontolii di tempesta, stride sotto i graffi e che però nel finale si farà lavagna per disegnare, stilizzata, l’immagine di una casa come ricovero definitivo di ogni paura.
Se la letteratura per ragazzi ha fatto incetta della struttura della fiaba per ricavare romanzi di formazione, H+G fa un passo ancora più indietro: «Questa favola – come molte altre, aggiungeremmo – è in tutto e per tutto un rito di iniziazione», commenta Serra. E il suo spettacolo si svolge proprio come un rigoroso rituale iniziatico, sciogliendo (scelta rischiosa che però si rivela felice) i pochi e noti nodi della storia senza mai spezzare un ritmo posato eppure teso, subacqueo, ipnotico. Da una tabula rasa fatta di oggetti simbolo si crea un’atmosfera che sembra correre su differenti binari del tempo, di cui spettatori di tutte le età cadono preda, come in un incubo collettivo dai contorni dolci.
Un particolare, decisivo, separa più dei pochi altri la versione dei Fratelli Grimm (ripresa poi da numerosi adattamenti): la madre diventa una matrigna. Qui invece a decidere di abbandonare i figli per sopravvivere è proprio la madre. La stessa attrice (Chiara Michelini, precisa come un chirurgo nel consegnare sguardi e gesti minuti) interpreta la madre e la strega; i suoi incantesimi sono lusinghe provocanti che comunicano con un inquietante suono di fusa di gatto, con un sapore di seduzione che pare rappresentare la scoperta di una sessualità mai davvero afferrata. Il padre taglialegna (Lorenzo Friso) indossa una tunica da prete, diventa una sorta di corvo malinconico che non sa opporsi al delitto. Tra genitori e figli vige una separazione incolmabile. A vigilare su tutto, ad aiutare ma anche a consegnare i due fratelli (Michael Untertrifaller e Maria Magdolna Johannes) nelle grinfie della strega è un ambiguo personaggio esterno (Rodrigo Scaggiante), un narratore che ride dei fatti, che li commenta con brevi parole, sghignazza mangiando le molliche di pane ma si compiace di fronte al rogo della strega. Il bosco è una fila di fasci di sterpi, la casa di marzapane un paio di mele del peccato, la prigionia è una disturbante vestizione con una maschera di sughero, il forno mortale un bagliore rosso che scoppietta dietro le quinte e che accoglie Hänsel e la strega fondendosi con il calore di un focolare domestico.
Chiara Michelini è l’unica interprete esterna all’Accademia Arte della Diversità – Teatro la Ribalta che, si legge nelle note, è «la prima compagnia teatrale professionale composta da attori e attrici in situazione di “handicap”». Ma se abbiamo visto, negli ultimi anni, diversi esempi di lavoro con questo genere di alterità, in questo caso a caratterizzare gli attori è un livello tecnico sopraffino, che cancella del tutto la percezione di una distanza. Quando a guidare movimento e (rarefatta) parola è un ingranaggio così minuzioso, a contare, a parlare, a catturare è il ritmo organico di un passaggio di stato. E di fronte a una dinamica così sottile, finalmente diviene superfluo usare categorie come “teatro ragazzi”, perché l’animo chiamato in causa è quello puramente umano, che per fortuna non ha età.
Sergio Lo Gatto
Visto al Festival Trasparenze 2016, Modena
di Alessandro Serra
Con Lorenzo Friso, Maria Magdolna Johannes, Chiara Michelini, Rodrigo Scaggiante, Michael Untertrifaller
Regia, luci, scene, costumi: Alessandro Serra
co-produzione Teatro La Ribalta/Accademia Arte della Diversità – Accademia Perduta/Romagna Teatri
Spettacolo realizzato in collaborazione con Compagnia Teatropersona