Il Teatro delle Ariette riallestisce Dopo Pasolini attorno al Teatro India: una produzione del 2005, un rito con roulotte per sei spettatori alla volta.
Dove dunque deve nascere il Cristo? Su uno dei silos dell’ex fabbrica Mira Lanza, oggi rudere – vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare – e Teatro India, le bombolette del portoghese Federico Draw hanno ritratto il volto di Pier Paolo Pasolini. Anche lì ci porta Assurdina Caì (Marta Moriconi), ci trascina con lo sguardo, non parla, non ci strappa i biglietti, forse conosce i nostri nomi perché siamo solamente in sei a camminare dal foyer al retro dello stabilimento dove la ghiaia diventa terra, dove il silenzio è sul tavolo vicino al pane. La donna sorride muta nel suo vestito verde, raccoglie un papavero dal cespuglio che nasconde l’archeologia industriale del gasometro, ha occhi grandi e denti e un tavolo apparecchiato di fronte a una roulotte e un marito che ride dai capelli bianchi e ricci da clown gitano: è Ciancicato Miao (Maurizio Ferraresi) della favola pasoliniana La terra vista dalla luna, è un marito che celebra l’attesa ed è disposto a vivere con una donna nonostante sappia che la morte avrà i suoi occhi. Scopriamo subito che siamo invitati a mangiare e quando sediamo al tavolo del Teatro delle Ariette tra i panni stesi, gli ombrelli capovolti e le luci da festa di paese, la donna e l’uomo parlano solo con gli sguardi, rispondiamo anche noi; l’uomo scalpita, taglia del salame a fette e ce lo offre, ci porta del vino bianco e ce lo versiamo tra di noi: prendete e bevetene tutti, alzo il calice, rido e bevo. La donna, da una cucina che potrebbe aver sfamato Emir Kusturica, scola una pentola di bucatini e una goccia di salsa. Gioacchino Rossini da una radio d’epoca continua a comporre cavalcate per tenore, la veranda senza tetto che condividiamo con quelle due figure pasoliniane è illuminata dalla luce pastosa delle sette di sera e il pane che mettiamo in bocca ci compromette definitivamente: siamo parte della scena, del rito, non riusciremo più a guardare da fuori quell’allestimento che muove dal vissuto di Paola Berselli e che si traduce dalla morte di sua madre fino al nostro personale. Affianco alla porta della roulotte ci osserva minaccioso uno specchio rotto con su scritto non si può essere contemporaneamente ciò che si è e ciò che si è stati. Non riesco a far altro che pensare a ciò che sono stato fino ad ora. Poi la donna bussa alla porta della roulotte e bisogna partire, muoversi, lasciare il tavolo apparecchiato della festa.
Dove dunque morirà questo Cristo? Da dentro rispondono bussando, la porta si apre e ci lascia entrare, varchiamo il sepolcro di un uomo (Stefano Pasquini) inerme, immobile, seduto con una donna (Paola Berselli) ad accudirlo davanti a uno schermo; guardano Il Vangelo secondo Matteo e, mentre noi cerchiamo nuovamente il nostro posto in scena, Erode cerca Cristo e lei sfoglia le foto di un matrimonio, poi si alza a preparare i cappellini in brodo, digrigna i denti con il coltello che sbatte sul prezzemolo tritato, c’è odore di aglio, di vecchio, Pasolini è già morto, il suo cadavere in fogli di giornale attaccato alla tappezzeria della roulotte. Il nostro respiro da gitani sorridenti attorno al tavolo di poco prima si fa pesante, costretto, l’immobilità dell’uomo copre la visuale dello schermo e ne sento solo le musiche e i silenzi. Ognuno capisce, guardando ciò che resta, che bisogna saper vivere ma ancor più saper morire assieme. Cosa si può amare ancora in un corpo che non si muove più, in una schiena da lavare come si versa l’acqua su una pianta, in un malato da accudire, in un collo da poter strozzare ogni giorno con una cravatta? Quando la donna apre il giornale e dichiara che Dopo Pasolini si celebra oggi, le notizie rispondono al quesito: di cosa deve parlare il teatro per dire qualcosa a noi, per essere attuale? Nei titoli del quotidiano ritroviamo il testo del rito dei moderni, nel voler condividere la vita nelle unioni civili, nella riflessione sulla perdita di Pedro Almodóvar, e nella pagina della cultura addirittura quello che potrebbe essere il testamento di una compagnia come il Teatro delle Ariette che da sempre coltiva la sua poetica nell’azienda agricola a Castello di Serravalle nella provincia di Bologna: “guardiamo gli chef in tv in un mondo che muore di fame, bisognerebbe invece parlare di spreco e di contadini”. Di contadini. Quando da fuori parte un tango, rebetiko esistenziale della donna in lacrime e dell’uomo paralizzato dal tempo, Paola Berselli ci regala il Pasolini di Io sono una forza del passato, fino a che la morte arriva, conforta; i due sono pronti a lasciare la loro Gerusalemme. E noi?
Quando usciamo dalla roulotte Assurdina e Ciancicato stanno ballando, il pranzo è finito ma bisogna ancora servire qualcosa; dal forno esce una torta di compleanno, il cielo è più scuro, l’uomo spegne la candelina, è una e azzurra, è il primogenito, è Il Vangelo secondo Matteo, è il Cristo che incarneremo nella sofferenza, che verranno a cercare, sanguinerà gocce di sugo, esalerà l’ultimo respiro su un brodo stantio mentre perdiamo tutto immobili, io e te, uno di fronte all’altro. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta, lo saremo tutti se solo mangiando assieme non impariamo a ridere ancora, e, insieme, a morire.
DOPO PASOLINI
di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Borselli, Stefano Pasquini, Maurizio Ferraresi
e l’amichevole partecipazione di Marta Moriconi
regia Stefano Pasquini
collaborazione Christophe Piret
Produzione Teatro delle Ariette in coproduzione con Théâtre de Chambre 2005
Riallestimento specifico per il Teatro India – Teatro di Roma 2016