HomeArticoliPinter cinematografico. Polar di Antonio Sinisi

Pinter cinematografico. Polar di Antonio Sinisi

Al Teatro Studio Uno Antonio Sinisi dirige Polar, su una sceneggiatura di Harold Pinter. Recensione

Foto ufficio stampa
Foto ufficio stampa

Polar. Genere ibrido a metà tra il poliziesco e il noir, due colori, giallo e nero, ritmo sincopato di un’investigazione e il suo più cupo rispecchiamento introspettivo. Interno, buio. I suoni di un glockenspiel dissonante si fanno spazio tra il silenzio dello Studio Uno mentre le immagini di un proiettore a mano gettano le prime luci sulla sala e sui due personaggi. Due uomini, una donna, immagini distorte anch’esse dalla prospettiva in movimento, albori di una lanterna magica che dichiara la sua parentela con il cinema e in particolare con un film la cui sceneggiatura fu scritta da Harold Pinter e diretta da Joseph Losey, Il Servo. Ma, oltre la suggestione e gli specchi deformati, si moltiplicano i rimandi, dal momento che l’agile riadattamento diretto da Antonio Sinisi e interpretato da Alessandro Porcu e Gabriele Linari, procede per sintesi e asciugatura di un’altra sceneggiatura pinteriana, Gli insospettabili. In questi passaggi dal cinema al teatro nessuna esagerazione o sbavatura di toni, una sottile ma costante tensione mantenuta ben stretta tra gli occhi e i pochi movimenti dei due attori. Pochi oggetti di legno definiscono la natura dello spazio, che, come esplicitato anche nelle note di regia, diventa luogo di scontro – ring – e spazio di gioco, dove la variabile della ripetizione può essere infinita, tanto da mostrare il suo potere paradossale e duplicarsi modificando poche sensibili variabili. Si concretizza allora sulla scena il nodo più profondo del discorso, ovvero quello poggiato sul confine tra ciò che è vero e il suo opposto.

Foto di Ufficio stampa
Foto di Ufficio stampa

La vicenda ruota attorno a un primo superficiale livello, una questione amorosa: una donna contesa tra il marito, abbandonato e benestante, Wyke, e Tindle, il giovane e squattrinato amante che da lui si reca affinché le conceda il divorzio. Determinanti sono i mestieri dei due, l’uno drammaturgo e l’altro attore. Così, l’improbabile richiesta da parte del primo al secondo, invitandolo al furto di alcuni gioielli di sua proprietà (per trarre beneficio l’uno con il riscatto assicurativo, l’altro vendendo il maltolto per mantenere la donna), rivela la sua natura metateatrale. Ad esser messa a nudo non è tanto la grettezza, la cospirazione, l’inganno, quanto il gioco perverso, o meglio, il meccanismo che l’autore stabilisce con la propria opera. Kill your darlings, si dice: è Wyke, il drammaturgo, a spiegare a Tindle il piano, a condurlo verso il suo fine, o meglio, verso la sua fine. Dall’azione si passa alla narrazione e si ritorna all’azione, letterale. Finzione e verità, racconto ed esecuzione sono ambiguamente vicini, quasi si sovrappongono, è di cartone la pistola, è vera la morte?

Si ritorna al buio. Ancora proiezioni, parole questa volta, ad affermare le suggestioni di quanto visto: non vi è regola, distinzione, tra ciò che è reale (il racconto) e ciò che dovrebbe esser falso (ma che inscenandosi diventa tragicamente vero), «la verità drammaturgica è sempre elusiva, non è solo una, ma molte». Si ripropone la scena, potremmo aspettarci di esser di fronte ad una possibile variante della prima ipotesi, con un personaggio dalla caratterizzazione più evidente. È un detective? Torna alla mente, non solo per affinità di interpretazione, il film di Pietro Germi, Un maledetto imbroglio. Qui Linari e Porcu definiscono ancora meglio il loro giocare tra i due generi, in una costante lotta per il potere: è una lotta di sguardi, bassi o alti, tra chi infligge terrore e chi lo subisce, sopperendo a una diluizione del testo che solo verso la fine perde la forza che aveva acquisito. Polar, frutto di una residenza proprio nel teatro che lo ospita, non impone schieramenti o risposte ma ci mette davanti al meccanismo, teatrale o cinematografico che sia, di fronte all’analisi che conduce alla risoluzione e, infine, alla sua eterna distorsione.

Viviana Raciti

Visto al Teatro Studio Uno, Roma – Aprile 2016

POLAR
tratto da Gli insospettabili di Harlod Pinter
con Gabriele Linari e Alessandro Porcu
musiche originali Cristiano Urbani
oggetti di scena Stefano Pietrini
locandina Martoz
messa in scena di Antonio Sinisi
residenza temporanea Teatro Studio Uno
una produzione natacha von braun | ensemble d’espressioni

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Laura Curino. Un teatro di ispirazione, per e con il pubblico

A Genova è da poco passato lo spettacolo Alfonsina Alfonsina, con la regia di Consuelo Barilari e il testo di Andrea Nicolini. Abbiamo intervistato...

 | Cordelia | dicembre 2024