Massimo Sgorbani con Magda e lo spavento conclude la trilogia dedicata alle donne del Terzo Reich. Regia di Renzo Martinelli. Con Federica Fracassi e Milutin Dapcevic. Recensione
È usuale ormai pensare che nelle fiabe più note ci sia una linea d’ascolto sotterranea, quasi subliminale, che trasforma il racconto piano in uno distorto, il sogno, per dirla semplice, in un incubo; è una sottile venatura, poco di più, a suggerire un percorso di straniamento oltre l’evoluzione visibile, a ricreare cioè una complessità più contigua al vero che al reale, dalle fiabe tratteggiato ma intimamente sovrastato. Perché nessuna realtà convive con il vero, a meno che non sia in una matassa di possibili realtà e infiniti fili da tirare.
Se ne avverte eco, di questo concetto, nel dialogo che Massimo Sgorbani compone per le due voci di Magda e lo spavento, appena andato in scena al Teatro India di Roma con la regia di Renzo Martinelli e ultimo testo della trilogia Innamorate dello spavento, dedicata ad alcune donne vissute di fianco, o poco lontane, all’uomo del terrore, Adolf Hitler, nei giorni finali del Terzo Reich.
Siamo nel bunker, ossia nel luogo dove l’esplosione di una conquista sta per lasciare il posto a una regressiva implosione, una ritirata paradossale di un’espansione vitale che rifluisce nel perimetro cementato, limite di una prossima morte. Magda Goebbels (Federica Fracassi), forse la più fedele tra le donne del Führer (Milutin Dapcevic), sostiene con lui un dialogo al confine con la follia, mescolando attrazione e masochismo, l’atmosfera cupa di un noir con l’avvento nel dialogo dei personaggi di Walt Disney, emblema di quel legame tra una società reale e una ricreata sotto forma di fumetto, astratta a tal punto da rispondere con molta più aderenza alla verità. Ma nei movimenti stilizzati, fluidi per lui più cadenzati quelli di lei, nella qualità vocale in cui le parole raffinano pronunce a piena bocca, nell’ambiente sinistro che le luci (di Mattia De Pace) e i suoni (di Fabio Cinicola) invadenti, l’abbaglio e l’ingombro di una enorme ventola a fondo scena, compongono dietro il velatino fosco attraverso cui tutto è filtrato, si è permeati da una sensazione quasi isterica, non si sta sulla sedia, qualcosa si avverte come prossima, imminente, si affaccia nel loro dialogo la necessità non più revocabile di uccidere i sei figli di Magda con una dose di veleno; non moriranno come figli, ma come portatori contagiati di umanità, germogli da recidere prima che sappiano farsi prato, bosco, foresta.
La scrittura di Sgorbani, affiancata dal lavoro della dramaturg Francesca Garolla, è densissima di concetti e carica di una molteplicità di visioni che, pur molto attraente in ingresso, alla lunga corre il rischio di farsi macchinosa, di assuefare cioè l’ascolto per eccesso di verbosità; tale rischio non sembra, tuttavia, diretta conseguenza della scrittura, più facilmente si tratta di una sovrabbondanza di regia, ricca di segni e quindi in competizione con un testo già ricco di per sé, che meglio uscirebbe se trattato in sottrazione. Certi ritmi, certe lunghezze, certe ridondanze, passano tuttavia per attori di grande qualità interpretativa come Fracassi e Dapcevic, capaci di esplicitare passaggi vertiginosi e arginare quel pericolo crescente di estetizzazione.
Se la schizofrenia si impadronisce della scena e certifica che il mondo è stato nelle mani di un pazzo, un finale non meno amaro svela che il confine tra bene e male non è solcato con incisioni così profonde, ché tutto potrebbe restare come all’inizio delle fiabe quando non ci si accorge che i sogni sanno ospitare incubi, quando cioè la formula d’entrata C’era una volta potrebbe replicarsi all’infinito, nella storia dell’uomo. C’era una volta. E si rischia che ci sia ancora.
Simone Nebbia
Teatro India, Roma – aprile 2016
MAGDA E LO SPAVENTO
dalla trilogia Innamorate dello spavento di Massimo Sgorbani
regia Renzo Martinelli
dramaturg Francesca Garolla
con Milutin Dapcevic e Federica Fracassi
Luci Mattia De Pace
Suono dal vivo Fabio Cinicola
PRODUZIONE TEATRO i