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Focus Premio Riccione: luci su Paravidino, Berardelli, Aldrovandi

Al Teatro dell’Orologio si è concluso il Focus Premio Riccione per la sezione Under Trenta. Recensioni di Sterili di Maria Teresa Berardelli, Due Fratelli di Fausto Paravidino e Homicide House di Emanuele Aldrovandi

Riccione. 2009. Maria Teresa Berardelli è l’autrice di Sterili, con il quale vince il Premio Riccione per il teatro nella sezione dedicata a Pier Vittorio Tondelli. Salto – molto – indietro, siamo nel 1999 ed è un ventitreenne a vincere la prima edizione del premio alla drammaturgia under trenta, l’«enfant prodige» è Fausto Paravidino, che con Due Fratelli è al suo terzo testo. Ultima tappa che conclude il Focus Premio Riccione promosso dal Teatro Orologio è l’opera di Emanuele Aldrovandi, nel 2013 aggiudicatasi il podio con Homicide House.

Nelle ultime due settimane sono andati in scena questi tre testi, i quali, ciascuno con le proprie caratteristiche, si fanno carico di una visione specifica del proprio tempo, un taglio, delle riflessioni registrate e reinventate nella scrittura drammaturgica italiana di quest’ultimo periodo. In seguito agli anni della crisi del testo, di cosa si sono nutriti gli immaginari di questi autori, tanto da ottenere il riconoscimento del premio che dal dopoguerra in poi riconobbe il valore di Calvino (nella prima edizione del ’47 c’era anche una sezione letteraria), Moscato, Borrelli, Santeramo, Carnevali? Procediamo cronologicamente.

Paravidino e il rifiuto fraterno

Due fratelli - foto Federico Zittino, Claudio Bonifazio
Due fratelli – foto Federico Zittino, Claudio Bonifazio

Il testo di Paravidino, ora portato in scena dalla compagnia piemontese Mulino ad arte e diretto da Riccardo Bellandi, è una Tragedia da camera in 53 giorni. I confini sono definiti, l’unico luogo d’azione è l’interno di una cucina, verde (come verde era nell’adattamento originario del 2000 diretto da Filippo Dini con l’autore tra gli attori), ma di una sfumatura che, come lo spettacolo e il testo, rifiuta di ammettere la propria parte oscura, il tendente al nero. I tre abitanti, due fratelli e la ragazza prima dell’uno poi dell’altro, innescano continuamente un meccanismo di violenze da sfociare o da reprimere; le azioni girano a vuoto, attorno la quotidianità di un rapporto d’amore, delle beghe domestiche, della corrispondenza fittizia con la madre. Fittizia perché la vita raccontata vocalmente e registrata in audiocassette, non rispecchia la realtà appiattita in cui vivono i tre. In una resa scenica equilibrata e credibile, la rabbia e l’imposizione tirannica di Lev (Jacopo Trebbi) o l’asocialità quasi patologica di Boris (Daniele Ronco) ci raccontano di una generazione che a fine anni Novanta si trovava con un futuro incerto nel quale teme di inserirsi, sogna di possedere una macchina bianca, inventa una storia d’amore o decide di troncarla brutalmente, tragicamente, perché non si è in grado di gestirne la complessità o l’abbandono. Meno esplorate risultano le sfaccettature del personaggio di Erika nella prova attoriale di Costanza M. Frola, in una provocazione sensuale che vorrebbe sottendere delle fragilità ma che emergono un po’ troppo drasticamente, più come giustificazione che resa di complessità. Pur compiendosi un omicidio, il fattore tragico, ad emergere con una forza straniante quanto più taciuta, risiede nel rifiuto di accettare il cambiamento. Proprio alle soglie del nuovo millennio.

Sul ciglio del vuoto, Sterili

Sterili - foto MAnuela Giusto
Sterili – foto MAnuela Giusto

Arriviamo al lavoro di Maria Teresa Berardelli diretto da Camilla Brison. L’emblematico titolo definisce la qualità generale: sono oramai Sterili le relazioni, svuotata la scena che vede soltanto una linea gialla ad indicare la banchina di una metro che, in un giorno di festa, non passerà mai. L’attesa non è di quelle beckettiane, si badi. Snerva come l’invadenza del marito mentre si è in procinto di fuggir via con l’amante, come la richiesta di presenza al pranzo di natale di una famiglia che non c’è. Non basta aver condiviso un letto (nell’infanzia tra sorelle, tra marito e moglie, tra amanti), i dialoghi sono imposti, imboccati dall’altro, si chiede di rispondere al desiderio altrui ma senza che questo corrisponda alla necessità dell’altro. Quasi fosse una notazione metateatrale: «Uomo: Chiedimi di venire con te – Donna: Vieni con me – Uomo: non è una richiesta – Donna: me l’hai imposto – Donna: Vuoi venire con me?». Il problema non è più entrare nella società, trovare un lavoro, anche artisticamente soddisfacente, avere una casa, fare dei figli, anzi. La casa è grande, ma è vuota. Come i personaggi, senza nome, tutti i toni sono apatici, privi di vitalità; il silenzio, la mancanza del passaggio di comunicazione, fa rimanere lì, sul ciglio del vuoto: «Quando eravamo giovani desideravamo fare, avere delle cose», «Ma ora ce le abbiamo». Silenzio. Ecco l’abisso che imprigiona i cinque personaggi e l’impasse (che dei cinque attori è scelta non limite), lascia il desiderio – nostro – di avere uno sguardo critico maggiore, oltre l’attestazione del solipsismo che li determina, o forse,  avere la possibilità di un respiro altro, una boccata d’aria fuori dal sotterraneo. Che a farlo non debbano essere soltanto i personaggi, ma che stia anche a chi guarda accettare la propria posizione, farne una responsabilità e decidere di dover prendere quella metro.

Verso la fine, sulla ricerca del vero, l’omicidio.

Omicide House - foto Nicolò Digl'Incerti Tocci
Omicide House – foto Nicolò Digl’Incerti Tocci

Sicuramente uno dei perni che accomuna i tre testi e relativi spettacoli è una registrazione della crisi delle relazioni, svuotate nel caso di Sterili o asfittiche in Due fratelli. Nell’ultimo testo, Homicide house, portato in scena dalla compagnia MaMiMò da questa prodotto assieme a BAM Teatro e diretto da Marco Maccieri, è interessante rilevare quanto l’idea di rapporto funzioni da propulsore per creare una rete distorta di visioni del sé. Il problema probabilmente non è più la relazione con l’altro, anche se il matrimonio duraturo è costruito su continue bugie, se uno strozzino offre  in regalo un uomo da uccidere al posto di una borsetta come profferta amorosa o se l’amore lo si scopre soltanto negli occhi della vittima. Compiendo un processo di astrazione, la ricerca che muove i personaggi risiede in una feroce pretesa di verità. La realtà si distorce, come il tavolo e la sedia spesso sollevati da terra, appesi, creando tra cavi e personaggi quasi un’immagine da burattini, comandati gli uni e gli altri da un gioco crudele e ironico. È questo un gioco ironicamente tragico, non si fa beffe della propria storia anche se beffardamente condanna i propri personaggi, tutti, nessun colpo è escluso. Tutti non più vittime del sistema, perché scientemente avranno fatto le proprie scelte: «la vacanza deve essere radicale» vorrà la moglie del protagonista, che rifiuta il turismo perché alla ricerca di un’ideale. Così come, platonicamente, è l’idea di ciò che le cose siano – debbano essere – a non dover essere messa in discussione. Se un tavolo non è più un tavolo si potrebbe «rischiare di morire a furia di immaginarsi tutto». Un ritmo brillante accompagna i quattro protagonisti (tra tutti spiccano lo stesso Maccieri nei panni del protagonista e la sua carnefice Valeria Perdonò) nell’apertura di questo vaso di Pandora, nel quale i ricchi hanno la possibilità di comprare un morto da ammazzare. Nel momento in cui avrete il punteruolo a due passi dal vostro occhio – scegliete, il destro? – saprete che non potrete più mentire. Potrete anche convincere qualcuno a scovare la verità, la bellezza del non esser più costretti a impersonare un ruolo, ma la realtà non vi porterà molto lontano, avrete ancora una pallottola rivolta al petto.

 Viviana Raciti

Visti al Teatro dell’Orologio, Roma – aprile 2016

 

STERILI
di Maria Teresa Berardelli
con Diletta Acquaviva, Beppe Casales, Cecilia Cinardi, Francesco Ferrieri, Irene Lamponi
regia Camilla Brison
aiuto regia Laura Tassi
produzione Quattroquinte
vincitore del Premio Riccione / Tondelli 2009

DUE FRATELLI
di Fausto Paravidino
regia Riccardo Bellandi
con Costanza M. Frola (Erika), Jacopo Trebbi (Lev), Daniele Ronco (Boris)
con la partecipazione straordinaria di Laura Curino (nel ruolo vocale della Madre)
scenografia Lorenzo Rota
musiche Mattia Balboni
luci Federico Merula
registrazioni Officina Audiovisiva
vincitore del Premio Riccione / Tondelli 1999

HOMICIDE HOUSE
di Emanuele Aldrovandi
con Valeria Perdonò, Marco Maccieri, Luca Cattani, Cecilia di Donato
regia Marco Maccieri
scene Antonio Panzuto
costumi Francesca Dell’Orto
disegno luci Fabio Bozzetta
assistente alla regia Pablo Solari
direzione Tecnica Paolo Bett
produzione BAM Teatro / MaMiMò
in coproduzione con Riccione Teatro
in collaborazione con il Comune di Correggio – Centro di documentazione Pier Vittorio Tondelli / Giornate Tondelliane 2014
Vincitore Premio Riccione / Tondelli 2013

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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