A Carrozzerie n.o.t. debutta Esse – Santo subito, secondo lavoro di riscrittura dei tre Drammi Fecali di Werner Schwab firmato dal Collettivo SCH. Recensione
“Capire è morire all’istante”. Sentenzierebbe così la Signora Cazzafuoco se fosse seduta tra il pubblico che rimane sospeso quando, lì di fronte, la drammaturgia non ha più parole, né corpo, né musica da opporre, ma ne continua l’eco e si resta indecisi su cosa sia finito della performance e cosa invece appena iniziato. Dopo lo spettacolo Esse – Santo subito usciamo da Carrozzerie n.o.t. sprovvisti di una ragione chiara, fuori il paesaggio di una realtà urbana 2016 a Ponte Testaccio: palazzi di fronte, l’ex carrozzeria trasformata in spazio creativo alle spalle; la creazione del reale, ancora una volta, che si scinde tra l’economia da palazzo e la rappresentazione artistica di sé stessa. Si trova nell’arte il possibile artigianato dei trentenni di oggi a cui una società che ha elargito istruzione a basso costo e velleità da cani ha tolto gli strumenti per costruire il reale dalle mani? E come può sopravvivere la fragile grazia dell’arte alla stato di grazia del potere? La tragedia dell’artista emarginato continua a risuonare come acufene, sibilo che accompagna l’uomo rendendolo costantemente lucido, così lucido che se ne riesce a vedere, lì dentro, la disperazione.
Il grido di Werner Schwab è tutto scritto nei suoi Drammi fecali, così degenerato, consapevole e viscerale da chiedersi se scrivendo fosse ancora in vita o si fosse già suicidato. Morto per overdose alcolica nel capodanno del 1994, il suo suicidio è già lì nelle narici di Herrmann – pittore, e altro protagonista di Esse – Santo subito oltre alla Signora Cazzafuoco – bruciate dall’alcol col quale il giovane storpio dipinge per sbaglio la sua tela nera. Dopo averlo fatto con Le Presidentesse, in quella grave-danza che partorì Fäk Fek Fik, e lo studio su Sovvrappeso; insignificante: informe che ha visto una prima parziale genesi vincendo il bando di residenza di Carrozzerie n.o.t. “odiolestate”, il Collettivo SCH continua il suo riconoscibile lavoro sul corpus (e sul corpo) di Schwab guardando per questo secondo capitolo del progetto al terzo dei Drammi fecali, Sterminio, opera che nel 1991 al Kammerspiele di Monaco consacrava il giovane artista come uno degli autori più significativi della fine del Novecento.
«Il linguaggio, be’, è un’unica aggressione» questa l’indicazione del drammaturgo in apertura di un’opera che dedicò a sé stesso, al “macroscopico bugiardo”. Dante Antonelli torna su quest’aggressione affidando a un solo – illuminato – interprete (Gabriele Falsetta) due dei personaggi di Sterminio (Herrmann e la Signora Cazzafuoco) che diventano allo stesso tempo anche i due alter ego dell’autore. La riscrittura radicale parte dal dramma di Herrmann, (Her Mann: Signor Uomo): il giovane pittore storpio, Schwab e Gabriele Falsetta si incontrano così nel movimento di un solo corpo che riproduce sulla scena, come su un’enorme tela, il paesaggio umano dell’artista, la tragedia della solitudine che non ha possibilità di luce e colore. L’alter ego dell’autore dipinge in una striscia nera sé stesso e i personaggi del suo dramma, indugia nella sua azione che è tutta un ripetere, sguardo de-generante: la madre bigotta che oppone al nero il bianco, la pulizia, il posto di lavoro fisso perché bisogna potersi difendere – ma difendere da cosa? – il cannibale cattolicesimo dello zio che ridurrà il corpo del giovane al culo di una gallina, e il nazismo di palazzine e cemento di un uomo che incarna la teoria sul paesaggio, il miraggio dei posti di lavoro che si è costretti ad accettare, negli anni Novanta, e nel 2016 attorno a Ponte Testaccio.
Opera e artista coincidono sì nell’attore, ipnotico, feroce, ma al tempo stesso con la scena stessa, con l’inchiostro nero acrilico proiettato sullo sfondo dalle mani di Giovanna Cammisa in una tela che nella morte del dramma si apre e lascia uscire il volto di una donna, è la tragedia che raccoglierà la memoria dell’artista. Quella scena che lascia in mostra la consolle con le sue basi sintetiche, dal vivo, di Samovar, che in questo secondo lavoro riescono a esser corpo in un tutt’uno con l’azione, senza correre il rischio, come in Fäk Fek Fik, di sovrapporsi alle parole. La scena che lo spettatore può slabbrare allargandola e osservando il regista e gli autori poco più a destra che guardano, tesi o ridendo, accompagnando quello humor nero, dissacrante e fragile, che rende il lavoro del collettivo identitario, riconoscibile.
Con la morte dell’artista la performance diventa di più difficile lettura. La Signora Cazzafuoco, ennesimo attore vestito da donna come lei stessa si definisce, arrogante col suo bisogno di distacco, in un viaggio nel paesaggio interiore si scaglia contro il dramma come analisi che ti fa stendere su un lettino (la nevrosi di Her Mann?) e inneggia alla tragedia, la tragedia è donna. L’effetto è a tratti straniante, il pubblico non reagisce, fino a che l’uomo si spoglia per vestire la tela, l’arte nera, come drappo funebre, non è vero che sono un pittore, io scrivo, bevo, vivo. Dunque chi è quella figura che sta in scena? Chi è l’artista? Chi è l’uomo? Il microfono rivolto al pubblico rimane silenzioso. Gabriele Falsetta, nonostante il pubblico a tratti disarmato privato di una reale grammatica della comprensione, è in stato di grazia così come solo il potere di fare arte. Capire è morire all’istante. Esse Santo subito lascia morire lentamente, è un lavoro che passando per Fäk Fek Fik arriva al cervello e lì resta, come in attesa che lo stomaco Sovvrappeso; insignificante: informe restituisca al corpo la sua interezza.
Luca Lòtano
Carrozzerie n.o.t., Roma – aprile 2016
ESSE – SANTO SUBITO
di Dante Antonelli // Collettico SCH
drammaturgia Dante Antonelli, Gabriele Falsetta, Domenico Ingenito
con Gabriele Falsetta
ambiente scenici Francesco Tasselli
ambiente sonoro Samovar
disegni dal vivo Giovanna Cammisa
con il sostegno di Forum Austriaco di Cultura a Roma