Andrée Ruth Shammah firma la regia de Gli innamorati di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Vascello di Roma. Recensione
Scrutano attenti e curiosi; seguono movimenti e confusioni. Dall’imbarazzo, nascondono occhi clandestini in mezzo alle giacche ordinate negli appendiabiti. Sbucciando una mela ascoltano increduli e pensano e riflettono. Appoggiati ai muri, discreti negli angoli della scena, osservano un mondo che si lascia mostrare. Lisetta (Elena Lietti), Succianespole (Andrea Soffiantini) e Tognino (Roberto Laureri) sono i servi della commedia goldoniana, Gli innamorati, in scena in questi giorni al Teatro Vascello con la carismatica regia di Andrée Ruth Shammah e prodotto dal Teatro Franco Parenti. Servi non solo della casa milanese del Signor Fabrizio (Marco Balbi), ma della commedia tutta inscenata dai due impulsivi e gelosi sposi, Eugenia (Marina Rocco) e Fulgenzio (Matteo De Blasio).
Con scrupolosa dedizione Goldoni tramutava in parola teatrale il palcoscenico del mondo – «un bel libro, ma poco serve a chi non lo sa leggere» – mettendone a nudo vizi e virtù di una borghesia contradditoria e goffamente ridicola. Suoi intermediari erano proprio i servi, appartenenti al ceto basso della società che, spinto da bisogni e necessità materiali, aveva poco tempo e pensiero da dedicare a capricciose impuntature. Tramite proprio l’osservazione cinica e diretta di chi non può permettersi il gioco agiato dei convenevoli e dell’ozio paranoico, la regista e direttrice artistica del Teatro Franco Parenti ha lavorato sul testo dell’autore veneziano come fosse un ingranaggio da smontare per comprenderne il funzionamento, e, rispettando la struttura originaria, ne ha creata un’altra basata sullo svelamento metateatrale.
Alla destra del palcoscenico troviamo addirittura la sedia da regista con su scritto “Goldoni” sulla quale siede Ridolfo (Alberto Mancioppi) che però esce e entra dal suo personaggio vestendo i panni anche del narratore onnisciente che tutto conosce della storia e ce ne vuole mostrare i vezzi. La stanza della casa del Signor Fabrizio è l’unico ambiente in cui si svolge la vicenda: dalle pareti scrostate, il tappeto liso, le sedie, alcune senza più la tappezzeria, e in fondo due appendiabiti laterali usati all’occasione dagli attori per indossare i costumi di scena. I personaggi sono in divenire, girano per il palcoscenico con ai piedi calzettoni di lana portati calati sulle caviglie e larghi sulle dita dei piedi, scaldamuscoli appaiono sotto le lunghe tuniche, i capelli delle attrici sono ancora da sistemare con fasce e forcine a vista. Personaggi con indosso vesti incolori, bianche o dai colori tenui, del tutto anonime. Un ambiente di raffinata cura seppur dall’aspetto un po’ raffazzonato, del resto il Signor Fabrizio non possiede grande fiuto negli affari e sembra aver scialacquato il patrimonio delle nipoti Eugenia e Flaminia (Silvia Giulia Mendola), rimaste senza dote alcuna. Visibile e coerente è lo sfasamento drammaturgico provocato da questa regia strabica che se da una parte dimostra assoluta fedeltà al testo nelle battute dei personaggi, dall’altra ne crea un altro parallelo e complementare in cui predomina il parossismo delle emozioni e in cui questa stessa esacerbazione è palesata sia dalla metateatralità che da uno scrupoloso lavoro condotto sulla recitazione degli attori. Straordinari gli interpreti nel dare completezza ai personaggi, aggiungendo loro un’equilibrata e ironica caricatura, peccato solo che a volte rischino di rimanere talmente fissati nella propria parte da dimenticare di caratterizzarla con ulteriori sfumature.
Questi innamorati non colpiscono tanto per l’amore contemporaneo che raccontano; parliamoci chiaro, i sentimenti non hanno età o tempo e certi autori sono considerati classici proprio per aver avuto la capacità di cogliere l’uomo e le sue storie nella loro eternità restituendone l’universale e il condivisibile. È piuttosto il lavoro svolto dalla regista ai margini del testo, sui dettagli scenografici e i costumi, sullo svelamento del meccanismo, a dare nuovo segno a questa stessa classicità che si racconta attraverso gli occhi dei servi. Quelli sì che sono in grado di togliere la maschera alla borghesia per denudarne il gesto e la parola. Dicendo la verità di un amore vero ma conflittuale, di una ricchezza agognata ma costretta a vendersi pur di apparire.
Lucia Medri
Teatro Vascello, Roma – aprile 2016 (in scena fino a domenica 17)
GLI INNAMORATI
di Carlo Goldoni
regia Andrée Ruth Shammah
Personaggi e interpreti
Eugenia Marina Rocco
Fulgenzio Matteo De Blasio
Conte Roberto/Tognino Roberto Laureri
Lisetta/Clorinda Elena Lietti
Ridolfo Alberto Mancioppi
Flamminia Silvia Giulia Mendola,
Fabrizio Marco Balbi
Succianespole Andrea Soffiantini
scene e costumi Gian Maurizio Fercioni
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini
produzione Teatro Franco Parenti