A Bologna Teatri di Vita, in occasione del quarantennale dalla morte di Pier Paolo Pasolini, presenta Is, Is Oil, spettacolo liberamente tratto dal romanzo incompiuto Petrolio. Recensione
Tacchi alti, spacchi, gioielli, trucco pesante. No, non è il pubblico da pomeridiana teatrale. Eppure, sì, siamo a teatro, foyer, interno pomeriggio, domenica bolognese. Bologna in cui nacque Pier Paolo Pasolini, residenza stabile di Teatri di Vita, che al grande intellettuale dedica parte del proprio nome, ne abbraccia la complessità di pensiero attuando un processo che sia contemporaneamente restituzione e appropriazione, aderenza e distacco, tanto da evitare l’elogio, la celebrazione figlia dell’istante più che dell’adesione nel tempo.
Siamo in un luogo che diventa tutto teatro e si sovrappone alla vita, fosse anche quella dello Spritz versato e poi abbandonato per correre dietro uno sguardo. Qualcuno dà il benvenuto, quasi fossimo commensali invitati a una tavola comune, scambiati di posto con il ruolo che abbiamo deciso di assumere. Scrivo questo ancor prima di sapere che sto già vedendo Is, Is Oil, ultima produzione diretta da Andrea Adriatico, prima che la distanza tra attori e pubblico si formalizzi in una sala svuotata della dimensione usuale, poltrone e divani da salotto privato diposti in cerchio perché dell’azione si offra una più ampia angolazione di vedute.
In questo libero adattamento di Petrolio, ultima opera incompiuta di Pasolini e secondo approccio da parte di Teatri di Vita alla sua scrittura, scivoliamo dentro con la certezza che le luci rimarranno soffusamente accese a farci compagnia, per dimenticarci del distacco sala-scena, comprendere che «con la verità del sogno si renda più puntuale l’ansia di verità». Entreremo in questa dimensione fluidamente, non perché non abbiamo più percezione dei confini di ciò che siamo, confusi tra ruoli di spettatore e attore. Si tratta della condivisione di uno spazio e di una condizione: fluidità per l’inizio dello spettacolo che si definisce ancor prima d’esser dichiarato tale fin dal foyer; dello slittamento tra la narrazione e l’azione scenica, nel passaggio dal romanzo in forma d’appunti allo spettacolo in frammenti; tra l’ossessione dell’identità e sua frantumazione, l’abbattimento di quella dicotomia tra essere perfettamente buono e cattivo, tra maschio e femmina, tra Carlo e Karl, tra Carlo che è personaggio ma assume su di sé l’autore, è A e la sua nemesi, B. È me, che arrivo da Roma per ritrovare a Bologna un’altra città eternamente rinchiusa nel proprio fascino malato: il salotto intellettuale romano della sinistra dei Settanta mi sembra si rifletta sui nuovi fasti godereccio-artistico-intellettuali del Pigneto dei locali, quello stesso quartiere decantato da Pasolini e che, a distanza di quasi mezzo secolo si è dimenticato della forza e ne ha dipinto soltanto l’icona.
È una questione personale, perché mentre assisto, io, parte di trenta spettatori, al dispiegarsi di alcune delle trame del romanzo, dello svelamento di una nuova società corrotta e corrosa, società dei prestanome e degli imperi immobiliari, degli imbrogli delle società petrolifere, del sesso brutale da concedere soltanto per vie nascoste e di quello metamorfizzato, accetto il patto linguistico promesso dall’intellighenzia, accetto di far parte del sistema perverso. Non importa che sia finzione: mentre gli attori, accostandosi alle nostre poltrone e sedendo sui braccioli accanto i nostri gomiti, narrano ora di presenza, ora mutamente prestando l’espressione alla loro voce registrata, io sto là, accanto a loro, accetto dai loro vassoi il cibo per allietare la discettazione. Bevo, brindo con gli stessi loro calici mentre dietro di me una folla di giovani urla per una rivoluzione che rimane dietro un velo. Realmente, metaforicamente. Entra una donna dal vestito paillettato da vamp, mondanissima, ma lo sguardo è inesorabilmente, tragicamente triste. Come questa muta figura rimango nella degradazione perché «profondamente morale», perché se il male è sterilizzato diventa parte del nostro quotidiano, la nostra santificazione passa per la mano sporca di qualcun altro. Mentre, girati di spalle, protesi in avanti o col collo obliquo vedremo qualcuno nudo, esposto, noi staremo assaggiando tartine, facendo del futile intrattenimento la nostra azione primaria. Non più attorno a una storia, la messinscena dei Teatri di Vita riacquista la denuncia di Pasolini ritraducendola sulla scena, che ruota su questo scarto terribile che continuiamo ad accettare, lo schiaffo in faccia che riceviamo dal sogno, per guardare con ansia alla nostra realtà.
Se allora avrete posato il calice, perché nelle parole dette a bocca piena da Olga Durano, da Anna Amadori o da qualcun altro dei sette attori, avrete provato vergogna non per loro ma per voi stessi, nella viscosità della ricchezza nera avrete bagnato le mani, ma vi starete domandando come rifiutare quella guerra interna. Is, Is Oil non è un gioco di parole ma è. Rifiuta l’immagine, asciuga l’azione e spoglia il racconto, ciononostante è. A chi lascia la comodità di quei divanetti il compito di scoprire cosa.
Viviana Raciti
IS,IS OIL
liberamente ispirato a “Petrolio” di Pier Paolo Pasolini
Andrea Adriatico
e i corpi e gli sguardi di Anna Amadori, Patrizia Bernardi, Giovanni Capuozzo, Olga Durano, Francesco Martino, Alberto Sarti, Davis Tagliaferro, Selvaggia Tegon Giacoppo
e le amorevoli cure di Daniela Cotti, Saverio Peschechera
e i sostanziali aiuti di Alessandra Alpigno, Michela Malisardi, Salvo Maugeri, Corrado Trincali
e le acrobazie tecniche di Salvatore Pulpito, Rabie Sakri e di Antonio Bianco, Giovanni Frezza, Chiara Guadagnini
e la visione immaginifica di Luca Zanna
e gli aiutanti e consiglieri Anas Arqawi e Andrea Fugaro
e la storia delle case raccolta da Freak Andò e Delta-Bo Project
produzione Teatri di Vita 2015
creato con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
inserito in “Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna” (settembre 2015 – marzo 2016) – Progetto speciale promosso da Comune di Bologna e Fondazione Cineteca di Bologna, nell’ambito delle iniziative Pasolini 1975/2015 riconosciute dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo