Roberto Herlitzka incarna Minetti, l’artista da vecchio di Thomas Bernhard. Regia di Roberto Andò per il Teatro Biondo di Palermo. Recensione
C’è un bambino attratto dagli oggetti ma ancor più dagli avvenimenti, dagli incontri tra le persone e le parole con cui se ne suggella il patto di affinità, all’inizio (e forse lungo tutto l’arco) del Dedalus di James Joyce (1916), quel Ritratto dell’artista da giovane che divenne un esemplare innegabile di letteratura capace di indagare la propria scaturigine. E c’è un anziano attore alla fine di un viaggio che non rivedrà ritorno, nel Minetti che nel 1976 Thomas Bernhard dedicò al grande omonimo attore tedesco, feticcio delle proprie opere sceniche, il Ritratto dell’artista da vecchio appeso in un hotel senza luogo e senza tempo in cui arrivare ma dal quale non si può, non si potrà più, andare via. Dall’uno all’altro trascorre, lentamente, il secolo Novecento, secolo del tradimento ideologico e della decadenza contemporanea dei concetti di tradizione e – sorprendente – d’avanguardia. Il giovane e ricco di speranze Dedalus, animato da una sensazione di libertà espressiva a far da contrasto alle restrizioni che lo circondano, trascina attraverso i decenni il proprio spirito progressivo e ne sconta la dispersione trasformandosi nei caratteri dell’attore, emblema della disillusione – giacché unico a maneggiare la coscienza della finzione.
Si può ben dire che dunque il Minetti personaggio sia per Bernhard un lascito estremo in cui vocazione, ostinazione e tenacia si fondano in una volontà finale: rappresentare per l’ultima volta il Lear shakespeariano, ossia ricondurre al teatro – alla rappresentazione che dell’esistenza è una giustificazione materiale e visibile – il fine e la fine di una vita. E nulla potrebbe mai invertire il Dedalus nel Minetti: creazione e interpretazione animano l’uomo in tempi diversi, l’una ne proietta le attese nel “non ancora” e l’altra ne compatta le esperienze nel “non più”.
Nei tratti del Minetti incarnato da Roberto Herlitzka, in scena al Teatro Biondo di Palermo che lo produce per la regia di Roberto Andò, questa sottrazione di speranze ha nelle espressioni del viso, nel passo difforme, negli scatti improvvisi da una posizione all’altra, gli elementi di mimetismo utili a trasformare il personaggio nel personaggio, l’attore nell’attore. Se però nel fondo dell’intenzione scenica di Andò questa doppia mutazione sembra possibile, la resa si converte in una struttura conservativa e statica, in cui anche la scioltezza interpretativa di Herlitzka si va pian piano spegnendo nel canto dolente, ma lontanissimo, di una lettura pigra dell’opera di Bernhard, così che anche la sua qualità si mostra eccedente, privando Minetti di quell’isteria tragica in cui pulsa la sua identità.
Non basta l’eleganza delle scene, la raffinatezza estetica, perché questo Minetti scaldi l’animo di chi lo ascolti a tradurre la vita dell’attore in quella di tutti, a farsi cioè portatore di una parola universale oltre la vicenda, parole che invece nel testo sono anse di respiro e riottose a qualsiasi contrazione rarefatta: forse gli alti soffitti, i quattro lampadari enormi a cadere dall’alto, i finestroni slanciati, dispongono nello spazio una dimensione eccessiva di elementi, al punto di comprimere le possibili vie di fuga, ossia le presenze fantasmatiche che in maschera attraversano la scena, ingabbiare in una dimensione didascalica i suoni inquieti di Hubert Westkemper, soffocare infine le potenzialità aggressiva di un’opera che mai come questa volta si avverte bolsa, ripetitiva, estenuante. Se pur la verbosità sembri un’intenzione manifesta, non si può non avvertirla in negativo nella percezione di un pubblico che non ne dovrebbe sentire il peso o, peggio, l’annoiato disinteresse.
Raramente si dà fondo a una simile suggestione in pagine critiche, così tanto esule da ciò che si è visto, ma sarebbe bello che qualcuno affrontasse il Dedalus e il Minetti in un dittico novecentesco, recto e verso di un secolo falcidiato da crolli continui, di cui ancora non si sono raccolte abbastanza macerie. Raramente si fa, è vero, ma mai come in questo caso ciò che non c’è ha così tanta forza per contrastare, sovvertire, infine indirizzare a un nuovo utilizzo quel che invece, sulla scena, c’è.
Simone Nebbia
Teatro Biondo, Palermo – marzo 2016
MINETTI
Ritratto di un artista da vecchio
di Thomas Bernhard
regia Roberto Andò
traduzione Umberto Gandini
con Roberto Herlitzka, Roberta Sferzi, Verdiana Costanzo, Pierluigi Corallo, Vincenzo Pasquariello, Matteo Francomano
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Gianni Carluccio, Daniela Cernigliaro
suono Hubert Westkemper
aiuto regia Luca Bargagna
produzione Teatro Biondo Palermo