Le Residenze Artistiche Multidisciplinari, con l’esperienza di tre compagnie under35, hanno coinvolto spettatori attivi e gruppi scolastici del Liceo Artistico Midossi in un progetto mirato ad allargare l’esperienza espressiva
Paese che vai. Residenza che trovi. Il dibattito attorno alle residenze artistiche, in questi anni crescente e in via di sempre maggiore definizione, matura diversamente secondo i territori, giacché proprio attraverso i territori stessi, o meglio il contatto diretto con chi li abita, i progetti si vanno a sperimentare. Proprio per questo il lavoro residenziale svolge necessariamente una connessione tra diversi ambiti culturali e così creazione e fruizione, artisti e potenziale pubblico, entrano in stretto legame con una comune finalità di sviluppo.
Le Residenze Artistiche Multidisciplinari, promosse da 20Chiavi Teatro nella provincia viterbese e sostenute dalla Regione Lazio, in collaborazione interregionale con Residenza IDRA (Lombardia), Kilowatt Festival (Toscana) e Occhisulmondo (Umbria), hanno esplicitato questa vocazione condivisa con l’esperienza di tre compagnie under35 che, in tre diverse tappe di lavoro, hanno coinvolto spettatori attivi e gruppi scolastici del Liceo Artistico Midossi in un progetto mirato ad allargare l’esperienza espressiva, attraverso workshop pratici e sessioni di didattica teorica.
Ognuna delle tre compagnie ha posto il proprio linguaggio – drammaturgia per Eunemesi, danza contemporanea per Tommaso Monza e un progetto modulare per Teatro Argot, in collaborazione musicale con l’Orchestralunata – in dialogo con una popolazione in crescita, con germogli artistici in divenire, con chi potesse – oggi per domani – ascoltare.
La libera danza delle interferenze
Un liceo artistico è preposto alla formazione di uno spirito creativo, qui ciascuno dei convitati disegna la propria figura accanto a quella misteriosa di un’urgenza, magari ancora non definita, splendidamente macchiata dalle incertezze tipiche dell’adolescenza, ma forte della curiosità verso la pratica.
Raccolti in un cerchio di sedie abbiamo ascoltato Tommaso Monza, Andrea Baldassarri e Lucia Pennacchia attorno al tema cardine del loro prossimo lavoro Sketches of Freedom. L’idea di libertà come “schizzo” di immaginazione creatrice. Con gli studenti ho lavorato al concetto di parola come espressione logica o, invece, come spinta anti-logica, sopprimendo ogni desiderio di precisione per liberare lo sguardo contro il senso primo di frasi, punteggiatura, messaggi. Il linguaggio scritto è divenuto una categoria performativa, un’istanza ritmica che gli artisti avrebbero potuto sviluppare nel linguaggio della danza.
Abbiamo riempito pagine con un flusso non ragionato e costruito un testo collettivo, intrecciando parole secondo regole di lettura incrociata, finendo alle libere associazioni, enunciati che chiedono l’assunzione della responsabilità.
Un testo a-logico e immediato ha messo alla prova le forme di quella libertà, forzandone i margini oltre l’idea che una sola parola – freedom – possa racchiudere un significato profondo.
Tommaso, Andrea e Lucia hanno portato un fulgido esempio di umiltà, un linguaggio affamato di contraddizioni e derive. Tra brani di rap improvvisato, frasi gridate in un microfono e scritte lasciate sul fondale di carta offerto come campo di battaglia semantico, c’è una parola che definisce questo lavoro a contatto con un fertile terreno di ricezione: interferenza.
Forse è proprio di queste interferenze che la creazione artistica e la sua fruizione dovrebbero restare sempre avide, per ricordare e ricordarsi che il processo di ideazione dell’arte nasce dall’espressione di un conflitto, di una rinascita. Mai da una resa.
Invisibile, agli occhi?
Fa freddo in teatro, le mattine d’inverno. Il riscaldamento non ce la fa, lo spazio è troppo dilatato, dispersivo. E allora occorre concentrazione, bisogna mettere “a fuoco” un gruppo di ragazzi chiusi nei loro giacconi, alcuni appisolati in un’attenzione retrograda o affondati nelle poltroncine rosse della platea, altri più attivi anche se non hanno capito molto, ancora, non sanno cosa sarà, ma pure ci restano qui, a camminare sul filo dell’immaginazione, che a mettere fuori un piede si cade; ma non si rischia di farsi male. Non serve molto da dire a me e Tiziano Panici, curatore del progetto cui cerco di dare supporto – quando si hanno ricordi recenti dell’età in cui si gioca, il teatro è più facile – basta dire che Italo Calvino si è divertito a scrivere Le città invisibili e dobbiamo divertirci anche noi, che lui ha pensato a queste città inventate di strani nomi, infilate dentro conchiglie e sepolte sotto i mari, appese a un palloncino, colorate solo di giorno o dove non piove acqua ma sciroppo, e non serve pensare alle conseguenze, le cose una volta dette, è proprio allora che iniziano ad esistere – e se esistono per noi, esisteranno per tutti. Ecco, la responsabilità della creazione, abbiamo imparato da Calvino, la fiducia in ciò che può essere anche se nessuno lo direbbe, tranne noi. Ma noi, se abbiamo fiducia, siamo tutti quelli di cui c’è bisogno. Abbiamo preso in mano penne e matite, colori e pennelli, strumenti musicali e macchine fotografiche, abbiamo attraversato mondi che si spiegavano davanti ai nostri passi come un’apparizione, una strada mai vista prima e ora percorribile, con ogni volta un mezzo diverso e appena inventato. Ma poi bisogna fare seriamente, credere in ognuna delle Lezioni americane perché il gioco diventi concreto, esista davanti agli occhi di tutti e non soltanto i nostri. L’arte, si impara presto, è di uno per tutti; è un’illusione pensare che finisca per essere di tutti proprio passando per ognuno?
Sergio Lo Gatto e Simone Nebbia