Rai5 trasmette Pina (2011), il film di Wim Wenders che racconta l’opera di Pina Bausch. Qualche nota prima (e dopo) la visione.
Ha debuttato al 61° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Sul red carpet, insieme al regista Wim Wenders e alla sua compagna, la fotografa Donata Wenders, ha sfilato un’emozionata delegazione del Tanztheater Wuppertal. Pina è il primo film europeo che ha sfruttato la tecnica 3D, un documentario che il regista stesso ha descritto come un tributo, non un lavoro su ma per Pina Bausch.
Nell’arco dei ricchissimi trentasei anni (1973-2009) durante i quali Pina Bausch ha condotto la compagnia, molto è stato detto del suo controverso rapporto con tutto quello che potesse, in qualche modo, veicolare possibili interpretazioni del suo lavoro. Questa sua attitudine scettica a quello che in generale è stata la comunicazione del suo universo artistico, si è rivelata in una leggendaria ritrosia dai toni ambivalenti, un pudore quasi nobile per un’esperienza artistica e umana che ha dimostrato, invece, di saper raggiungere il grande pubblico in tutte le sue fasi, in tutti gli angoli del globo.
Ventidue anni prima del debutto di Pina, la regista Chantal Akerman, recentemente scomparsa, aveva realizzato Un jour Pina a demandé, un film che racconta la vita della coreografa e della compagnia dall’interno. Un anno dopo il film di Akerman, Pina Bausch stessa si è dedicata alla realizzazione del suo primo e unico film Il lamento dell’imperatrice, un lavoro dal gusto onirico che presenta sul formato del grande schermo alcuni temi cardine del Tanztheater Wuppertal: il rapporto con la natura e con il paesaggio industriale di Wuppertal – cittadina immersa nel grigiore opaco della Ruhr – e naturalmente la forza espressiva dei corpi dei suoi splendidi danzatori. Il film di Pina Bausch non mostra una chiara traccia narrativa, ma consolida un universo estetico che, nel 1990, stava iniziando a prendere quella dimensione globale concretizzatasi poi negli anni successivi attraverso le numerose residenze della compagnia in giro per il mondo.
La genesi dell’opera di Wenders e la sua realizzazione sono strettamente intrecciate agli ultimi anni di attività e di vita della coreografa tedesca che, effettivamente, avrebbe dovuto affiancare il regista alla realizzazione del film. Tuttavia, a soli due giorni dall’inizio delle prime riprese, nel giugno del 2009 Pina Bausch improvvisamente scompare a seguito di una malattia rapida, fulminante, che lascia orfani e disorientati i suoi compagni di lavoro. In seguito, superato un tanto difficile quanto comprensibile momento di indecisione in merito alla possibilità di proseguire la realizzazione del film in assenza della coreografa, e con il consenso degli eredi, i membri della compagnia e altri collaboratori hanno convinto il regista di Alice nelle città a portare a termine l’opera.
Così, nel 2011, Pina ha finalmente debuttato sul grande schermo della Berlinale, proponendo una visione sensuale e immersiva non solo di estratti d’archivio, interviste e scene girate en plein air nel contesto urbano e naturale della regione di Wuppertal, ma soprattutto di alcune sequenze tratte da quattro titoli che erano stati scelti per il film: Café Müller, La Sagra della Primavera, Kontakthof e Vollmond che la tecnica 3D permette di vedere per la prima volta quasi dall’interno, come se lo spettatore si trovasse sul palco insieme ai danzatori.
Donna instancabile e dalla creatività inarrestabile, con la sigaretta sempre stretta tra le dita, Pina Bausch ha attraversato il tempo della sua vita con la stessa bruciante urgenza di un meteorite che infuocato attraversa l’atmosfera terrestre. La ricordiamo, iconica, avvolta dal costume bianco e semitrasparente del ruolo che aveva ritagliato per se stessa in Café Müller, l’opera che più d’ogni altra oggi è considerata il suo manifesto e che, nel 1985, aveva colpito il regista Wim Wenders, il quale, proprio grazie allo stück composto nel 1978 è stato iniziato al linguaggio del movimento e della danza del Tanztheater Wuppertal. In Pina Bausch Wim Wenders ha riconosciuto un’irraggiungibile capacità di leggere l’umano e anche il famoso “sguardo” che per tanti ha messo a nudo tanto i suoi artisti quanto il suo pubblico.
Pina ci consegna una sequenza di movimenti, immagini, atmosfere, una memoria che continua a vivere nei corpi di chi questa esperienza ha contribuito, col proprio dono, a crearla. E la storia continua.
Gaia Clotilde Chernetich
Trailer del film